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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Le piante che generano antipatia

Ailanthus altissimaAraucaria araucanaPrunus laurocerasusPrunus pissardiiPrunus serrulata Kanzan Photinia fraseriiForsythia intermediaClorophytum comosumFicus benjamina, palme. Per alcuni addirittura: Trachelospermum jasminoidesHydrangea macrophyllaAucuba japonica, Nerium oleanderPelargonium zonale, Calla aetiopica... Rosa Pierre de Ronsard. Fatta una breve indagine, la lista delle piante capaci di generare antipatia è più lunga di quanto pensassi, tuttavia rimango sempre della mia opinione: se le consideriamo esseri viventi, individui, a parte la troppa voglia di vivere nessuna di loro ha pecche. O forse la loro unica colpa è di non riuscire proprio ad adattarsi alla società in cui sono state erroneamente collocate: il fattore estetico in giardino è una questione culturale e rispecchia lo stile di un’epoca.
Prendiamo ad esempio le piante da interno: peperomiemonstere, begonie, photos, sono stati portati alla ribalta da arredatori di mezzo mondo dopo che per una vita avevano avuto solo due posti di elezione: il sottobosco umido tropicale dei loro territori d’origine e le pagine polverose dei libri di antologia, dove Guido Gozzano nella sua celebre poesia, le cataloga tra le piccole cose di pessimo gusto. Pensiamo alla Aspidistra elatior: oggi è inevitabile associarla ai luoghi esclusivi della moda milanese da quando, nel luogo più chic della città, la Signora dello stile ne ha riempito la sua maison probabilmente dopo aver svaligiato tutte le portinerie del circondario poiché all’epoca era introvabile presso i vivaisti in quanto nessuno la voleva più.
Sono di parte ma sfido chiunque a dire che le piante siano davvero antipatiche! Le ortiche pungono, ma sono buone e hanno enormi doti per il giardino, attirano le farfalle, (e i bambini). I rovi graffiano, ma oltre a produrre le more, sanno bonificare i terreni più poveri arricchendoli di humus. L’edera è risaputamente invadente, ma chi altro riesce a ricreare le sue masse aggettanti? Gli ailanti vanno perdonati, è l’ora di smetterla di vederli come mostri alieni: sono semplicemente figli di una società cosmopolita e nomade che condividono con pennisetumbalsaminareynoutriabuddleja e tante altre piante che chiamiamo piantacce a sproposito. Piuttosto la loro massiccia e veloce presenza sul territorio mette in mostra le contraddizioni di una società moderna che cerca di essere più verde e più tollerante, ma non è in grado di programmare la manutenzione del territorio, genera problemi di suolo e pecca di pigrizia e inesperienza. L’Ambrosia artemisiifolia porta parecchi problemi a chi è sensibile ai pollini, ma siamo sicuri che sia l’unica a cui imputare questo problema? Possiamo esser certi che la crescente iper-sensibilità al polline non derivi dall’inquinamento più che dalle piante?
Sono di parte, ripeto, e così come non ho preferenze, non ho neppure antipatie, e se me ne vengono, sono momentanee, limitate al cattivo uso di alcuni soggetti fuori contesto. Faccio deroghe anche nei confronti delle temutissime, la scorsa primavera, per esempio, fermandomi a fare rifornimento ad un autogrill, ho notato un accostamento inedito e al contempo straordinario. Nel brutto parcheggio di in un brutto posto: Cercis siliquastrumPrunus kanzan Prunus pissardii erano tutti ammassati senza criterio, ma tutti insieme formavano una sbalorditiva, spregiudicata, bellissima fioritura scarlatta. Quel gruppo di alberacci fioriti era di una bellezza commovente. Con tutte le piante si dovrebbe adottare una sorta di visione montessoriana che ci aiuti ad avere una prospettiva più ampia sulla natura del paesaggio.
Per certi versi le piante sono come i bambini, se la sanno cavare da sole: devono essere assecondate e, allo stesso tempo indirizzate per dar loro valore, per trovare il loro posto nella nostra società condivisa. Proviamo a ribaltare il concetto di antipatia per le piante: forse ce n’è qualcuna che fa innervosire in quanto è votata al suicidio... ma, di nuovo ma, come biasimare chi si lascia morire costretto a vivere in luoghi e condizioni incompatibili ai requisiti minimi per la sua esistenza?
Ammetto anch’io di aver provato moti temporanei di antipatia per alcune piante del giardino di Piuca: litigo spesso con il mio Jasminum sambac Granduca di Toscana perchè non ho ancora capito come ricreare le condizioni pedoclimatiche di Goa. Provo amore e odio per la Mandevilla laxa che solo quest’anno ha creduto di essere in Ecuador e ha finalmente fiorito. Ho passato anni a lanciare ultimatum minacciosi a una Davidia involucrata fatta da una noce raccolta in Yunnan perchè pur crescendo, non produceva uno straccio di fiore.
Pollice nero, inesperienza, abbagli, fregature vivaistiche, meteorologia impazzita, sfortuna, sono nemici dell’arte dei giardini ma la psicologia dovrebbe aiutarci a riconoscere il delirio di onnipotenza che spinge alcuni a prendersela con le piante che crescono meglio per fare spazio a carissime viziatelle stitiche che per sopravvivere hanno bisogno di optional e alterazioni di contesto inconciliabili con il giardino. Le stilizzate Phalenopsis da quando sono state sdoganate a pochi euro dall’Ikea sono improvvisamente diventate irritanti: semplicemente perché sono troppe, troppo fiorifere e perfino troppo economiche: il mondo dei giardini è un po’ snob. Dall’altra parte l’annichilimento culturale che impone a certe amministrazioni di spendere soldi per piantare (male) un intero campionario di piante sbagliate, incompatibili tra loro, ecologicamente inappropriate, non è solo esteticamente inaccettabile, ma piuttosto lo è culturalmente. Chi trovava stonati gli oleandri, cosa prova nel vedere che nei marciapiedi moderni si sono riversati eserciti di soldatini anonimi? C’è chi si sente oppresso da chilometri di siepi di Photinia, da mastodontici muri di Cupressus leylandii, rotatorie piene di Gaura e Verbena annegate da piumose graminacee fuori contesto. Chi trova démodé i vecchi gerani nodosi che la nonna coltivava sui davanzali e li ha sostituiti da Dipladenia color chewing-gum. Chi deve ancora mandare giù il rospo delle palme lombarde: tante chiacchiere, troppa politica, dietro un semplice giardino esotico messo temporaneamente in scena nel centro della più cosmopolita delle città italiane. Ma chi si è accorto che non sono palme caraibiche bensì specie hymalaiane resistenti ai rigidi inverni padani, che per ironia di sorte diventano sempre più miti e accoglienti verso le piante aliene, extracomunitarie, subtropicali? Cosa darei per leggere cosa ne avrebbe scritto Dino Buzzati!
Proviamo a fare un distinguo: tra quelli che provano antipatie per certe piante, e quelli che invece non sopportano di vederle coltivate male o nel posto sbagliato. Ecco, io appartengo a questo secondo gruppo, me ne sono accorto anni fa, da quando nel cantiere di un giardino in Liguria mi si è chiarito il preconcetto di erbaccia: avevo chiesto a un giardiniere di togliere una brutta rosa soffocata dall’incuria per fare spazio a un corbezzolo che avanzava dal bosco e lui, intimidito dal mio interesse per le piante selvatiche mi chiese: «Ma questa è una pianta?» In quella criptica domanda si esplicitano molti pregiudizi botanici. In un altro luogo mi è capitato di non fare a tempo ad ammirare il vigore di un tappeto di mughetti che il proprietario li aveva fatti togliere per facilitare il taglio del prato.
Ho visto giardinieri accanirsi contro grossi esemplari di Araucaria araucan semplicemente perchè erano passati di moda, e ho lottato per non far sostituire una graziosa siepe spontanea di biancospino e corniolo con Lonicera pileata a Nandina domestica verso cui però continuo a non avere giudizi negativi. Sento dire da anni che gli aghi di pino vanno raccolti, che le magnolie sporcano, le radici dei tigli si insinuano nella pavimentazione, il profumo della santolina è troppo intenso, i glicini perdono i fiori, attirano formiche. Le rose graffiano, le peonie fioriscono poco, e quelle gialle a testa in giù. I rampicanti portano bestie in casa, il muschio non fa crescere il prato, i narcisi d’estate seccano.
Una volta mi arrabbiavo, adesso rido e mi viene in mente la scena del film Bianca di Nanni Moretti in cui il protagonista è talmente a disagio con se stesso che, passando dal terrazzo, inizia a prendersela con i vasi di geranio: «Hai troppo sole? Poco sole? Troppa acqua? Perchè non parli? Rispondi!» Reclina il vaso su un fianco, fa cadere la terra, poi butta di sotto quello vicino con un gesto simile a quello di chi vuol mandarti a quel paese. A tutti sarà capitato di desiderare di defenestrare una pianta capricciosa, ma chi può dire di non avere mai provato l’impulso, almeno una volta, di tirare un calcio nel sedere al suo amato cane o di mandare a quel paese il datore di lavoro? Nessuna paura: l’antipatia è un sentimento spontaneo e una conseguenza culturale ed esiste anche in giardino che è il luogo d’elezione per le persone sensibili.