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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Intervista a Flavio Insinna

Sente tutta la responsabilità, ma Flavio Insinna lo dice col sorriso: «Con L’eredità cerchiamo di offrire un po’ di distrazione agli spettatori. Parliamoci chiaro, questo non è un momento facile per nessuno. Ma anche un gioco può aiutare, noi ce la mettiamo tutta». Il preserale di Rai 1 (che con oltre 4 milioni di spettatori e il 22% di share supera Caduta libera su Canale 5) continua a essere un appuntamento fisso anche grazie ai minuti finali della ghigliottina.
Insinna, dicono tutti: "Da casa sembra più facile".
«Perché è così, seduti sul divano si è più concentrati».
Studio vuoto, ironia con i concorrenti: come funziona un quiz in tempo di Covid?
«Come negli uffici, come ovunque. Prima entravo e abbracciavo gli amici della redazione: scherzi, battute, caffè, dolcetti. Ora c’è il plexiglas, manteniamo le distanze, ci togliamo la mascherina tre secondi prima di entrare in studio. Poi giochiamo, proviamo a portare buonumore e serenità. Penso che la tv possa intrattenere e debba farlo, specie in momenti come questo».
Come si comporta con i concorrenti?
«Senza di loro non si può fare la trasmissione, quindi facciamo una bella chiacchierata, mascherinati. Il capitale umano è imprescindibile. Con loro ho creato un mio piccolo protocollo di accoglienza: imparo bene la loro storia, così li metto a proprio agio. L’empatia riempie il vuoto lasciato dall’assenza del pubblico. Ma la vita ti sorprende e succedono cose bellissime».
Tipo?
«In studio gli spettatori erano sempre gli stessi, da noi si era creata una variopinta famiglia. Il giorno del mio compleanno il 3 luglio sono andato con i ragazzi della "Fattoria dei sogni", un’associazione con cui collaboro, in un supermercato. C’era una delegazione del pubblico dell’Eredità con una pianta bellissima per me. Li porto del cuore, dobbiamo un po’ chiuderci e un po’ aprirci all’altro».
Cosa serve?
«Un po’ di entusiasmo in più, in tv stiamo tutti moltiplicando gli sforzi. Ci sforziamo di creare un’atmosfera, per strappare un sorriso a chi sta a casa. Adesso il mio orgoglio è cercare di far distrarre gli italiani per un’ora. Siamo in onda tra La vita in diretta , che davvero rincorre la vita con le sue storie spesso drammatiche, e il Tg1 - che lanciamo con orgoglio – e che ci informa: 19 mila contagi. Ma poi in redazione arrivano i disegni dei bambini, e devi ritrovare il sorriso».
Cosa le manca di più?
«Abbracciare mia madre e mia sorella, ma so di essere fortunato: ho una compagna, i cani. Se torno a casa dopo una giornata pesante posso scaricare la tensione raccontando o restando zitto. Siamo schiacciati dagli eventi, ci facciamo domande. Tra la prudenza - restare a casa - se dove uscire scelgo un posto dove è importante andare. Per questo sono andato dagli operai della Whirlpool».
Ha voluto testimoniare la sua vicinanza?
«In questi tempi di distanziamento sociale ho voluto dire: ci sono.
Appartengo a una generazione che prima di buttare una cosa provava a rincollarla; i soldatini, i giochi. Mia madre cuciva simpatiche toppe al golf che mi piaceva. Qui buttiamo le persone come se fossero un vecchio telefonino. Ho 55 anni, se alla mia età mi dicessero "arrivederci e grazie", che farei? C’è gente che difende il posto di lavoro e non salgo sul treno per Napoli? Salgo».
Cosa la fa indignare?
«Il fatto che non riusciamo a essere una comunità: fossi Bill Gates mi comprerei la fabbrica, purtroppo sono una persona fortunata ma non così tanto. E mi fa paura vivere in un mondo dove se sono risolti i tuoi problemi, allora i problemi sono finiti. Non voglio svegliarmi e essere assuefatto, ero lì con Aboubakar Soumahoro che mi aveva fatto conoscere la realtà dei lavoratori schiavi di Borgo Mezzanone. Per capirla, la vita degli altri, devi andare nei posti a vedere. Con la mascherina, ma andarci. Non mi voglio lasciare in pace. E poi posso dire una cosa?».
Prego.
«Aboliamo questa parola: "gli ultimi". La vita è una maratona, non una gara. Ho sciupato qualche occasione, ma avevo una rete – mamma, papà, gli affetti - sento un obbligo verso chi è meno fortunato. Ci dobbiamo aggrappare agli altri, anche a distanza. Ci salviamo solo così. Quando discutevo con papà e gli giravo le spalle lui insisteva: "Dopo di te il diluvio? No, non c’è il diluvio. Guarda se tua madre ha sete, se a nonna serve qualcosa". Mi sono guardato da fuori, aveva ragione lui».