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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Al Met di New York 150 anni di look femminili

Negli ultimi anni le mostre sulla moda sono diventate sempre più popolari. Questo per spiegare come mai ce ne siano così tante. Ma nonostante la concorrenza feroce, a dominare il campo resta il Metropolitan Museum di New York. Anche quest’anno: dopo la lunga pausa forzata per il Covid- 19, il prossimo 29 ottobre (fino al 7 febbraio 2021) apre al pubblico una versione aggiornata agli ultimi avvenimenti di “About Time: Fashion and Duration”. Non era mai successo che una mostra fosse modificata “in corsa": il 2020 non è stato un anno normale neanche per i musei.
Sulla sua riuscita non ci sono molti dubbi, visto che tutte le esposizioni annuali del museo sono state blockbuster: quella sul cattolicesimo del 2018, quella sulla tecnologia del 2016, quella su Alexander Mc-Queen del 2011 (un anno dopo il suo suicidio), giusto per citarne qualcuna. Certo, al di là dei temi aiuta anche che a inaugurarle la prima settimana di maggio ci sia il Met Ball, la festa più ambita dai modaioli, e che Anna Wintour (direttore di Vogue Usa ) sia instancabile sostenitrice dell’istituzione, tanto che il Costume Center del Met porta il suo nome. Inoltre, con la società congelata per la pandemia, ragionare sul rapporto tra moda e tempo è calzante. Il percorso è costruito come un orologio, che da una parte esamina l’evoluzione dell’abbigliamento femminile dal 1870 (anno della fondazione del Met) a oggi, mentre dall’altra, accostando abiti di epoche diverse, spiega come nella moda prima o poi tutto torni. Così in un vestito da sera di Elsa Schiaparelli del 1938 si ritrova un abito da lutto del 1870, in una giacca destrutturata di Comme des Garçons del 2004 si scorge una mise del 1895, e così via. Tutto chiaro, ma cosa è cambiato rispetto a sei mesi fa? «Black Lives Matter ha dimostrato le falle della nostra visione, concentrata su un’estetica univoca e occidentalizzata», spiega il curatore Andrew Bolton. «Per questo ho aggiunto diversi creativi neri: un abito di Virgil Abloh per Off-White accanto a uno di Coco Chanel, uno Stephen Burrows con uno Xuly Bët, Olivier Rousteing con Balmain più altri designer giovani meno conosciuti. Un’integrazione necessaria, e che proseguirà con le prossime mostre». Non solo. «Non potevamo ignorare la questione della sostenibilità, oggi sempre più rilevante: il vestito haute couture di quest’anno di Viktor&Rolf, che adesso chiude il percorso, è realizzato con tessuti di vecchie collezioni».
Si dice d’accordo Nicolas Ghesquière, direttore creativo della donna Louis Vuitton (sponsor della mostra). «Oggi conta il come si fanno le cose, e l’impatto che queste hanno sull’ambiente e sul prossimo. La moda non è solo lo specchio dei tempi, ma dà forma al futuro. E questo oggisignifica puntare a una qualità migliore, e dunque sprecare meno». Allo stilista non sfugge l’ironia della situazione. «Mi piace che solo ora, in un’epoca proiettata in avanti come la nostra, si colga l’importanza di adottare ritmi più lenti per creare capi durevoli».Cambi in corsa a parte, la mostra pone un’altra domanda: la moda può essere ancora “nuova”? «Ma certo», dice Bolton. «Ogni epoca ha i suoi materiali, le sue lavorazioni, le sue necessità. Confrontando silhouette simili, si capisce quanto sia l’essenza dei vestiti a cambiare». «Parlando di novità in senso stretto», spiega la storica della moda Enrica Morini, «credo si possano citare gli abiti scivolati e le gonne corte degli anni Venti, davvero mai visti prima. Oppure i Sessanta con la moda giovane, un concetto sino ad allora sconosciuto: qui la novità sta nella nuova domanda. Il mix tra passato, presente e futuro che vediamo oggi? Nasce con il post-modernismo: è puro gioco, e non un’esigenza ».