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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Il MeToo iraniano

In Iran le donne alzano la testa, non solo per togliersi il velo, ma per denunciare stupri e molestie. Un MeToo che arriva con tre anni di ritardo rispetto a quello americano ma che ha una valenza molto più profonda se si pensa che nel codice della Repubblica islamica, per un’interpretazione sciita particolarmente oscurantista della sharia, la donna che denuncia è «vittima» e allo stesso tempo «colpevole» visto che i rapporti sessuali fuori del matrimonio sono un reato. «Quando accusi qualcuno di averti costretto a fare sesso stai praticamente testimoniando contro te stessa» dice Shadi Sadr, attivista per i diritti umani e avvocata iraniana di base a Londra.
Eppure, in atti di coraggio straordinari, dallo scorso agosto più di 100 uomini sono stati denunciati attraverso i social media. Non persone qualsiasi ma manager, professori universitari, intellettuali. Gente in vista, benestante se non ricca, con amicizie altolocate nei centri di potere del Paese.
Tra loro spicca l’artista Aydin Aghdashloo, 80 anni il 30 ottobre, conosciuto a livello internazionale e molto legato al regime degli ayatollah. In un’inchiesta, pubblicata giovedì scorso, il New York Times intervista alcune delle sue accusatrici che non esitano a definirlo l’Harvey Weinstein iraniano, un uomo che per 30 anni non si è fatto scrupolo di ricattare studentesse, giornaliste, galleriste, critiche d’arte e chiunque altra gli capitasse a tiro, minacciandole di porre fine alla loro carriera se non avessero ceduto alle sue molestie. La prima a puntare il dito contro di lui, il 22 agosto, è stata l’ex giornalista Sara Omatali che ha raccontato su Twitter di essere stata molestata durante un’intervista nel 2006. Lui l’avrebbe accolta seminudo nel suo ufficio baciandola a forza e strusciando il suo corpo su di lei. Da allora è stato un susseguirsi di MeToo. Il New York Times ha intervistato 45 persone che hanno testimoniato di aver assistito ai comportamenti predatori di Aghdashloo. Tredici donne hanno raccontato di aver subito violenza. Una all’età di 13 anni. Una studentessa ha detto che quello che credeva il suo mentore le ha offerto un quadro dal valore di 85 mila euro in cambio di un rapporto sessuale. Una pittrice si è vista chiudere la porta in faccia da molte gallerie dopo aver rifiutato le avance del pittore. Un’insegnante d’arte, che ha affiancato per dodici anni l’artista nei suoi workshop, ha raccontato che le studentesse si erano spesso lamentate con lei ma che lui si era difeso dicendo che le ragazze avrebbero dovuto considerare il suo affetto un privilegio. Interpellato dal Times Aghdashloo, tramite il suo avvocato, assicura «di aver sempre trattato tutti con rispetto e dignità».
Riuscirà il #MeToo iraniano a ottenere, almeno in parte, giustizia? Il 12 ottobre il capo della polizia di Teheran ha annunciato che Keyvan Emamverdi, proprietario di una libreria, ha confessato di aver stuprato 300 donne dopo che 30 di loro avevano avuto il coraggio di denunciarlo. Rischia la pena di morte. Di certo la strada è tutta in salita ma questa vicenda dimostra che le donne sono in prima linea e non hanno paura di sfidare la sottomissione imposta dal regime teocratico.