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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Il pareggio uomo-robot

Non è chiaro chi abbia detto per primo che ’il lavoro nobilita l’uomo’. Molti (anche se apparentemente solo in Italia) sostengono che sia stato Charles Darwin. È un’attribuzione comprensibile: non è strano pensare che il teoreta dell’evoluzione possa indicare il lavoro come una delle attività che fa gli umani ’più umani’ e ’meno animali’. Darwin non poteva comunque immaginare che, come passo successivo dell’evoluzione della civiltà, il lavoro sarebbe stata un’attività sempre meno umana.
Lo studio ’The Future of Jobs Report’, presentato martedì dal World Economic Forum, indica come ormai imminente il pareggio tra uomini e robot nel mondo del lavoro. Nel 2025 la quota di ’ore di attività’ di lavoro dei robot raggiungerà il 50% del totale delle ’ore di attività’ di lavoro delle imprese, calcola il Wef sulla base delle risposte arrivate dai 291 grandi manager internazionali che hanno partecipato al sondaggio. Oggi la percentuale di ore di attività dei robot è al 30%. Tutta la nuova quota di lavoro delle macchine è ovviamente sottratta al lavoro umano. «Gli algoritmi e le macchine saranno principalmente focalizzate sulle attività legate all’informazione e al recupero ed elaborazione dei dati, su compiti amministrativi e alcuni aspetti del tradizionale lavoro umano – si legge nello studio –. Le attività nelle quali si prevede che gli umani manterranno il loro vantaggio competitivo includono la gestione, la consulenza, i processi decisionali, il ragionamento, la comunicazione e l’interazione». Le aziende quindi avranno ancora bisogno degli esseri umani. Anzi, sempre secondo i manager coinvolti nell’indagine del Wef i posti di lavoro che si possono creare in un mondo in cui c’è più lavoro per i robot che per gli umani sono superiori a quelli che si perdono in questo passaggio. Più precisamente gli occupati etichettati come ’ridondanti’ passeranno dall’essere il 15,4% dell’intera forza lavoro al 9% nel 2025. Mentre i professionisti dei ’nuovi lavori’ legati ad automazione e intelligenza artificiale aumenteranno dal 7,8 al 13,5% dell’intera forza lavoro. «In base a queste cifre – calcola il Wef – prevediamo che nei 15 settori e 26 Paesi analizzati, per il 2025 i posti di lavoro eliminati per il cambiamento nella suddivisione tra uomini e lavoro saranno 85 milioni, mentre i nuovi occupati più adatti al nuovo contesto che potranno emergere saranno 97 milioni». Il saldo sarebbe così positivo: 12 milioni di posti in più. Ovvio: dentro questa visione positiva c’è anche mol- to ottimismo sociale tipico dei grande manager. Difficilmente i Ceo del Wef – quelli che ogni anno si ritrovano a Davos per il Forum annuale, rinviato da gennaio all’estate per l’edizione 2021 – prevedono esplicitamente massicci piani di licenziamenti di lavoratori resi obsoleti dallo sviluppo tecnologico. Gli stessi manager ammettono che pensano di poter ridistribuire all’interno dell’azienda circa la metà dei lavoratori sostituiti dalle macchine.
La questione che solleva l’analisi è quindi quella della formazione. Come fare a evitare che chi oggi svolge mansioni che presto saranno assegnate ai robot diventi un lavoratore ’inutile’? E come fare a evitare che chi esce da programmi universitari concepiti in modo ’vecchio’ non riesca nemmeno ad accedere al mondo del lavoro? Il Wef a questo appunto si appella ai governi, chiedendo loro di adottare approcci olistici per coordinare formazione dei lavoratori, piani delle università, collaborazione tra agenzie del lavoro e imprese. Servirà sicuramente anche un cambio di approccio. Nel dibattito organizzato dal Wef sui risultati del suo studio, Allen Blue, co–fondatore e vice presidente di LinkedIn, ha fatto presente che nel lavoro dei prossimi anni «qualsiasi ruolo che vediamo è nell’ambito tecnologico o legato ad attività rese possibili dalle tecnologie» e quindi «può essere un data scientist o un ingegnere, o può essere qualcuno nel marketing e nelle vendite, ma sempre in un modo legato alla tecnologia». Ma Geraldine Matchett, co– ceo di Royal Dsm, una multinazionale olandese che si occupa di nutrizione, salute e sostenibilità, ha sottolineato che «oggi abbiamo una società dove o sei occupato, ed è quasi l’unica cosa che fai, oppure sei fuori. Sei adatto o non adatto». Invece, ha spiegato Matchett, «al di là della formazione e del reskilling, dobbiamo cambiare ottica, essere più centrati sulle persone e meno ’ingegneristici’ nel modo in cui guardiamo al lavoro». Come dire: se l’efficienza è l’unico criterio, nel mondo del lavoro resterà spazio solo per i robot.