Avvenire, 25 ottobre 2020
La corsa al riarmo atomico
Ci lasciamo alle spalle un biennio tragico. Gli argini eretti dagli strateghi del disarmo nucleare stanno cedendo. È ripresa la corsa all’arma finale, inarrestabile in Asia, e costosissima per tutti. In un anno, ha fagocitato oltre 73 miliardi di dollari. I nove Paesi atomici sfornano piani, progetti e nuove armi. Crollano uno dopo l’altro i trattati di disarmo fra Russia e Stati Uniti. Scemato l’accordo sulle forze nucleari intermedie, a febbraio potrebbe essere la volta del New Start, ultimo baluardo alla proliferazione delle armi strategiche fra Mosca e Washington. I due Grandi detengono il 91% delle 13.400 testate mondiali. È solo grazie al Trattato che russi e americani possono tenere pronte al lancio “solo” 1.550 ogive a testa.
Ma la presidenza Trump è sempre più insofferente. Sospetta che il New Start abbia giovato ai russi. Fra il 13 e il 21 ottobre, Mike Pompeo e Marshall Billingslea hanno lanciato accuse al vetriolo: «Il Trattato ha limitato l’arsenale americano del 92%, colpendo quello russo solo per il 45%». Un valzer delle percentuali contestato dalla Federazione degli scienziati ame- ricani: «Il New Start impone gli stessi vincoli a entrambi i contraenti». Forse Trump accetterà di prorogalo per un anno, tentando il tutto per tutto se mai fosse rieletto. In questi quattro anni alla Presidenza, ha rinuclearizzato la diplomazia americana. Per la prima volta dal 1992, ha riaccarezzato l’idea di riprendere i test termonucleari. Ha aperto all’uso in battaglia delle armi nucleari. L’ha fatto scrivere nero su bianco nella nuova dottrina nucleare. Il documento, del 2018, è quanto di più pericoloso sia stato pubblicato negli ultimi anni. Ha già portato allo schieramento di sottomarini armati di testate dalla debole radioattività e dall’altissima probabilità di impiego, tentanti perché tre volte meno potenti della Little Boy che devastò Hiroshima nel 1945. Gli esperti del Bollettino degli Scienziati Atomici tagliano netto: le nuove armi di Trump sono «pericolose, basate su una riflessione strategica errata». Il nemico non potrà mai sapere se il missile in arrivo sarà di bassa potenza. Potrebbe rispondere con una rappresaglia nucleare devastante. Segno dei tempi e del panico crescente, gli Scienziati Atomici, a fine gennaio, hanno anticipato le lancette dell’orologio dell’Apocalisse. Siamo ormai a 100 secondi dall’ora fatidica. E la colpa è anche dei russi, che non stanno certo con le braccia conserte. Provocano, svecchiando 2mila testate substrategiche, che alimentano le paranoie di Trump. Entro il 2024, il 100% della loro Forza missilistica strategica sarà nuova di zecca, senza eguali negli altri comparti militari russi. Poco tempo fa, Putin ha allarmato il mondo e spiazzato gli americani, presentando cinque armi strategiche a vocazione nucleare, che Washington si è sempre illusa di poter includere nei negoziati per il rinnovo del New Start. Stiamo entrando in una fase sempre più pericolosa. Lo si deduce dalle nuove dottrine d’impiego delle armi nucleari. Quella russa del giugno 2020 allenta i vincoli a un first strike nucleare.
Anche l’India è pronta a rivedere la sua linea di «non impiego per prima del fuoco atomico». Teme la Cina. L’arsenale di Pechino è balzato dalle 280 testate del 2018 alle 320 del 2020, montabili ormai su una triade completa di vettori. Ma è tutta l’Asia in fermento. Il Pakistan prolifera, così come la Corea del Nord, ennesimo fallimento nucleare di Trump. A maggio, Pyongyang aveva annunciato che avrebbe rafforzato il suo «ombrello atomico». E il 10 ottobre ha fatto sfilare un missile intercontinentale spaventoso. Se mai verrà testato, l’Hwasong- 16 segnerà un ulteriore passo avanti nella nuclearizzazione del Paese. Ottobre è stato un mese davvero frenetico. Gli occidentali hanno mostrato i muscoli. Sia gli americani, sia la Nato hanno esercitato le componenti nucleari. I primi sono tornati in massa. Quest’estate hanno compiuto manovre inedite dalla fine della guerra fredda, facendo volare simultaneamente 6 bombardieri nucleari non lungi da Kaliningrad. Avrebbero potuto incenerire Mosca e San Pietroburgo con il loro carico di missili termonucleari. In quei frangenti, altri bombardieri strategici pattugliavano il Mar cinese meridionale e Taiwan. La chiamano dissuasione. Ma mette i brividi.