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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

La Vittoria Alata è tornata a Brescia

Come i Bronzi di Riace. Come i Bronzi dorati di Pergola. Come il Satiro Danzante. Anche quella della Vittoria Alata di Brescia è un’incredibile storia di ritrovamenti, recuperi, restauri e resurrezioni di un bronzo d’età romana. Con un plusvalore: a differenza di altre storie di antichi capolavori (la Venere e l’Atleta di Lisippo costantemente contesi tra l’Italia e il Getty Museum di Malibu o la biga etrusca in bilico tra il Metropolitan di New York e il comune di Monteleone) quelle dei Bronzi di Riace e di Pergola, del Satiro Danzante e ora della Vittoria Alata sono storie interamente Made in Italy.

Sabato 24 ottobre il ritorno dall’Opificio delle pietre dure di Firenze dopo oltre due anni di restauro. Poi la ricollocazione nella nuova sala disegnata appositamente per lei dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg. Infine, venerdì 20 novembre la Vittoria Alata con le sue movenze quasi da ballerina (ma in realtà tra le mani avrebbe dovuto tenere forse un guerresco scudo e sotto il piede un elmo altrettanto guerresco) verrà finalmente restituita alla città.
L’operazione di restauro e di ricerca di una delle più straordinarie statue di epoca romana (realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa e databile intorno alla metà del I secolo dopo Cristo, forse ispirata a modelli più antichi) ha coinvolto per due anni circa trenta professionisti che si sono prima concentrati sulla pulitura della scultura (che ha restituito il colore e le venature originari) e poi sulla rimozione controllata dei materiali (in particolare terra e residui della fusione) che riempivano e appesantivano la statua e la struttura interna di epoca ottocentesca a cui si agganciavano le braccia e le ali (diventate ora bellissime, simbolo ideale dell’intera operazione di restauro), infine sulla stesura di un materiale protettivo.
Oggi la Vittoria Alata è dunque più leggera e più splendente. Più leggera dopo la rimozione controllata del riempimento, che da sola ha richiesto più di sei mesi ed è stata condotta seguendo, per quanto possibile, i principi dello «scavo stratigrafico archeologico», per consentire di rimuovere il materiale senza danneggiare il bronzo antico e muovendosi in spazi ristretti, irregolari e poco illuminati. Nel complesso sono stati rimossi quasi 100 chilogrammi di materiale di varia natura: frammenti di legno, stoppa, carta, fibre vegetali, frammenti di terracotta inglobati in un composto di resina a base di colofonia, distribuiti con concentrazioni differenti nella cavità interna.
Ma anche più splendente dopo la pulitura che ha consentito di rimuovere dalla Vittoria Alata le varie sostanze accumulate nel tempo sulla superficie del bronzo: residui di materiali utilizzati nel corso dei precedenti interventi di restauro, prodotti diversi dell’alterazione del bronzo, residui terrosi e materiale organico carbonizzato, con tutta probabilità dovuti al primo interramento della statua, che fu rinvenuta in uno strato di terriccio misto a carbone. Facendo riemergere la morbidezza del panneggio sapientemente modellato e alcuni dettagli della testa, i particolari delle sopracciglia, la finezza del diadema e l’elegante acconciatura dei capelli mentre sulle braccia e sulle mani è stato possibile recuperare nuove tracce di doratura.

L’équipe dell’Opificio in collaborazione con Fondazione Brescia Musei, Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza Università di Roma (un gruppo di lavoro rigorosamente made in Italy) ha dedicato estrema cura anche alla progettazione e realizzazione di un nuovo supporto interno alla statua, altamente tecnologico, per sorreggere adeguatamente le ali e le braccia, che furono trovate staccate dal corpo centrale nel 1826 e che fino a due anni fa erano sostenute da un dispositivo ideato nell’Ottocento che appesantiva il complesso bronzeo e ne metteva a rischio la staticità.
La Vittoria Alata cantata da Giosuè Carducci in una delle Odi Barbare («Vorrei vederti su l’Alpi, splendida / fra le tempeste, bandir nei secoli: / “O popoli, Italia qui giunse / vendicando il suo nome e il diritto”») dunque torna a casa, nel Capitolium di Brixia, il Parco Archeologico di Brescia Romana (il più grande dell’Italia del Nord), ma in una collocazione completamente trasformata dal nuovo allestimento progettato da Baldeweg (al quale fino al 5 aprile il Museo di Santa Giulia dedica una grande retrospettiva) articolato su un pavimento in terrazzo veneziano, un piedistallo cilindrico in pietra di Botticino, una piattaforma antisismica, un tavolo-vetrina con le cornici in bronzo ritrovate insieme alla Vittoria, una lampada sospesa (simile a una luna solitaria) come unica illuminazione.
«Sarà la nostra Gioconda» assicura Stefano Karadjov, direttore della Fondazione Brescia Musei. «L’idea è creare un parallelismo tra il tempio antico e lo spazio moderno, dare un segnale di continuità e speranza – spiega Francesca Bazoli, presidente della Fondazione —. Il premio più grande per il conte Paolo Tosio e per quegli uomini di inizio Ottocento che si erano appassionati alla riscoperta delle origini romane era stato il ritrovamento, nell’intercapedine del tempio, di un autentico tesoro di bronzi romani tra i quali giaceva, nascosta per più di millecinquecento anni, le braccia e le ali ordinatamente adagiate attorno al corpo, la splendida Vittoria che iscriveva sul proprio scudo il nome del vincitore. Riconsegnarla alla città, ancora più bella dopo il restauro, è il nostro modo per guardare al futuro».

In questa celebrazione del ritrovato ruolo artistico-culturale di Brescia, anche in vista del 2023 quando Brescia e Bergamo saranno le «Capitali italiane della cultura», la Vittoria Alata si confronterà con il contemporaneo. Grazie a un’installazione che Emilio Isgrò ha pensato (e poi donato alla città) per la parete nord della fermata Stazione FS della metropolitana di Brescia, una sorta di «nuova porta d’ingresso» alla città, simbolo della sua vocazione all’accoglienza e all’integrazione. Incancellabile Vittoria, questo il titolo, è un monumentale lavoro di circa 200 metri quadrati, composto da 205 pannelli di fibrocemento fresati, con la sagoma della Vittoria Alata che si eleva dalle cancellature del primo canto dell’Eneide.
Per montarlo sulla parete della stazione, precedentemente rivestita in piastrelle di gres bianco fissate a secco su un telaio in alluminio, Isgrò ha installato (una volta rimosse le piastrelle e sostituito il vecchio telaio con uno più leggero e resistente) 205 pannelli rivestiti in parte di resina «a disegnare» il profilo della Vittoria e le relative cancellature. I pannelli sono stati avvitati al telaio e le teste delle viti colorate della stessa tinta della resina.
«Non potevo non accogliere questo invito – spiega Emilio Isgrò – che mi viene oggi da una meravigliosa città risorgimentale che sento mia non meno che di tutti gli italiani e di tutti gli europei di buona volontà. Una città che prima ha dovuto schivare le bombe venute dal buio, e recentemente l’insidia del coronavirus, pagando un tributo rilevante di vite e di sangue. Come già nel dopoguerra, è su queste rovine che bisogna ricostruire, nel segno di una Vittoria alata che viene da lontano e va lontano. Non credo che come artista possa essere indifferente a un discorso del genere; per questo ho deciso di donare alla città l’Incancellabile Vittoria. Come segno di speranza e di fiducia, e soprattutto come tributo d’amore di un italiano ad altri italiani che lottano perché nessuno viva più inutilmente, e ancora più inutilmente muoia».