ItaliaOggi, 24 ottobre 2020
Come nascono le previsioni del tempo
È la prima cosa che facciamo al mattino, appena svegli, prima ancora di pensare al caffè, mentre il gatto ci si struscia sulle caviglie e barcolliamo verso il bagno: controllare le previsioni del tempo. Qualcuno controlla il meteo sullo smartphone, mentre altri si rivolgono direttamente a Google («Ehi, Google, che tempo fa?») e l’assistent Google (non sembra vero) risponde a tono (oggi sole, oppure cielo coperto).Un tempo ci si affidava ciecamente alle previsioni meteo televisive. C’erano questi colonnelli in divisa o in abiti civili (ma pur sempre marziali e impettiti) che agitavano nell’aria la loro bacchetta da rabdomante con la quale indicavano masse di nuvole, anticicloni, variazioni termiche, nembostrati e altocumuli sullo schermo gigante che incombeva dietro di loro e, intanto che sfogliavano (piove, non piove) la margherita meteorologica, si sforzavano d’apparire spiritosi (oggi, per invidia dei talk show, preferiscono il tono grave e moralista).
Ma come nascono le previsioni del tempo? E quando? Andrew Blum, autore di Rosso di sera... Come nascono le previsioni del tempo, parte da lontano, da Thomas Jefferson, primo segretario di stato americano, che nel 1776 stupì i delegati al Congresso continentale degli stati, che s’accingevano a proclamare la nascita degli Stati Uniti d’America, mostrando loro un termometro appena comprato.
All’epoca i termometri «erano grandi, alti come candelabri, muniti di pesanti scatole di legno da trasporto per proteggere i loro tubi di vetro dai danni». Jefferson, stregato dalla meteorologia, progettò nuovi modelli di termometro e concepì il progetto, all’epoca irrealizzabile, d’una catena continentale di stazioni meteorologiche collegate tra loro.
Saggista e critico d’arte, a sua volta sotto incantesimo meteorologico, anche John Ruskin immaginava, nel 1839, quella che chiamò «una macchina immensa» per prevedere il tempo atmosferico. Macchina che avrebbe dovuto raccogliere informazioni meteorologiche da fonti lontane tra loro e collegate via telegrafo (appena inventato e perfettamente in grado di realizzare il sogno di Jefferson) per poi fornire previsioni ragionate. Molto prima che fosse anche soltanto possibile concepire un satellite geostazionario, l’autore delle Pietre di Venezia, un libro caro a Proust, immaginò anche «un occhio» che dall’alto dei cieli teneva «sotto osservazione» l’atmosfera.
«Le prime previsioni diffuse con cadenza regolare», scrive Blum, «nacquero in Inghilterra quando il piroscafo Royal Charter si arenò sulle coste del Galles nel 1859. […Errore. Il nome file non è specificato.Sopravvissero soltanto 41 passeggeri su 500. Allora Robert Fitzroy, che era stato capitano del Beagle, la nave sulla quale aveva viaggiato Charles Darwin, entrò in azione. Raccolse tutte le osservazioni meteorologiche che trovò e, insieme ai colleghi del Board of Trade, disegnò una serie di carte orarie del passaggio della tempesta sulle isole britanniche, mostrando le variazioni di pressione e temperatura. Fitzroy chiamò questa mappa una «carta sinottica» [anticipando] una tecnica che si sarebbe affermata solo un secolo dopo. Nelle carte sinottiche, scriveva Fitzroy, «è come se un occhio nello spazio guardasse giù su tutto l’Atlantico settentrionale», cogliendo una visione più ampia di quella «a volo d’uccello». Gli schemi meteorologici rivelati dalle carte sinottiche furono una vera manna nel salvaguardare il promettente traffico di piroscafi dell’era vittoriana».
Matematico e visionario, il fisico inglese Lewis Fry Richardson pubblicò nel 1992 un libro straordinario, Weather Prediction by Numerical Process, nel quale immaginava, spingendosi più in là della «macchina immensa» di Ruskin, un esercito di calcolatori umani chiamati a produrre previsioni meteorologiche.
Dobbiamo figurarci, scrive Blum, «una sala grande come un teatro. (…) Uno stadio con le pareti che si chiudono a cupola, dipinte con una mappa del mondo, con l’Inghilterra «sugli spalti» e l’Australia «sul campo». Ogni calcolatore umano lavora all’equazione del tempo relativa alla parte di mondo su cui sta seduto. I dati vengono scambiati tra loro attraverso «segnali», mentre il ritmo del calcolo è dettato da un assistente, il quale sta in piedi su un alto piedistallo nel mezzo della sala e li illumina i calcolatori con «un raggio di luce rosa» o «un raggio di luce azzurra», a seconda che siano troppo avanti o troppo indietro nel calcolo. «In questo senso egli è come un direttore d’orchestra e gli strumenti musicali sono regoli calcolatori e macchine da calcolo», spiegava Richardson».
All’inizio, Richardson pensava che, per ottenere previsioni attendibili, sarebbero bastati cinquecento calcolatori umani, ma «al momento della pubblicazione del suo libro stabilì che un ufficio operativo di previsioni numeriche per l’intero globo avrebbe avuto bisogno di una squadra di calcolatori di 64.000 persone».
Grazie ai calcolatori elettronici, ma soprattutto grazie (be’, «grazie» è troppo, diciamo «in seguito») al lancio delle V2 hitleriane concepite dallo scienziato tedesco Wernher von Braun – già consulente di Fritz Lang per Una donna nella luna, un film del 1929, von Braun fu reclutato, dopo la guerra, nei ranghi della Nasa insieme ai suoi progetti di missili in grado di sfuggire alla gravità terrestre – la meteorologia passò ai calcoli complessi e l’Occhio nel cielo di Ruskin, messo in orbita dai razzi dello scienziato tedesco, prese davvero forma.
Ma le previsioni del tempo, benché sempre più precise, restano lontane dalla perfezione: si calcola che, «se per far atterrare un’astronave su Marte occorre gestire centinaia di variabili matematiche, un modello atmosferico globale ne richiede centinaia di migliaia». Blum ci accompagna attraverso la storia della meteorologia e delle sue imperfezioni illustrando le tecniche delle moderne previsioni del tempo e mostrandoci i luoghi in cui i dati e le notizie raccolti nella troposfera vengono organizzati, sintetizzati e trasmessi ai notiziari televisivi, alle navi in viaggio sui sette mari, agli aerei in volo e alle App degli smartphone e degli orologi digitali, che non smettiamo di consultare, spesso compulsivamente. Quello di Blum, tra le vanità e le prodezze dei meteorologi, è un viaggio incantato, a metà tra il tempo che passa (un giorno il termometro di Thomas Jefferson, un altro giorno l’iPhone) e il tempo che fa (sempre più rare, di questi tempi, le belle giornate… per lo più è una dura, dura pioggia che cade).