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 2020  ottobre 24 Sabato calendario

Orsi & tori

Molti dei baby boomer degli anni 60 sono andati a scuola di pomeriggio perché erano talmente tanti che le aule non erano sufficienti. Eppure, sono cresciuti bene, anzi benissimo, e rappresentano ancora la struttura portante e matura del Paese. Se la ministra Lucia Azzolina avesse ripassato la storia della scuola italiana invece di fare una battaglia per i nuovi banchi con le ruote, che fra l’altro provocheranno problemi alla colonna vertebrale dei ragazzi secondo l’analisi di chi studia l’ergonomia come il professor Raoul Saggini, avrebbe fatto risparmiare allo Stato 325 milioni e avrebbe risolto uno dei problemi di affollamento che hanno rilanciato la pandemia. Se il governo, i governatori, i sindaci avessero considerato che nelle fabbriche dove si lavora a ciclo continuo si fanno tre turni, avrebbero potuto pensare che anche i colletti bianchi possono fare almeno due turni, evitando così affollamenti nei mezzi di trasporto e negli uffici, dove peraltro per far funzionare le aziende può bastare la presenza di un lavoratore ogni tre, visto cosa offre la tecnologia per lo smart working.Basta usare il cervello per evitare quanto si è visto dalla fine di agosto davanti alle scuole, in entrata e in uscita; nelle metropolitane e negli autobus, che sono state e sono le maggiori occasioni di contagio.
Che cosa si pensa che abbia fatto la Cina per diventare praticamente Covid-free? Distanziamento non solo fisico ma anche temporale.
E comunque ogni forma possibile di distanziamento, senza azzuffate e senza danneggiare l’economia, come dimostra il ritorno alla crescita prepotente del pil cinese.
Si dirà, ma la Cina è un regime. Certo, come si potrebbe governare un paese di 1,4 miliardi di persone senza regole rigide, prescindendo da ogni considerazione legata alla democrazia?
Perché, qual è oggi la democrazia degli Stati Uniti, che ne erano il fulcro? Qual è la democrazia in Europa e nel mondo, quando ci sono almeno quattro o cinque dittatori occulti come gli Ott, da Google a Facebook, ad Apple (un po’ più democratica) ecc.?
Pochi giorni fa con Gabriele Capolino stavamo esaminando gli articoli dall’America e in particolare quello del nostro partner Wall Street Journal sull’iniziativa del Dipartimento della giustizia americano, che dipende dall’Amministrazione, contro lo strapotere di Google. Gabriele ha un BlackBerry ma con sistema Android, il sistema operativo di uno dei tentacoli di Google. Ebbene, quando abbiamo pronunciato la parola Google, il sistema dal telefonino automaticamente ha parlato: Posso aiutarvi?
Credo non ci sia bisogno di altre parole per spiegare in che razza di democrazia stiamo vivendo, non essendo certo per contrasto una dichiarazione di gradimento assoluto del regime cinese. Ma almeno lì, dal 1978, con la creazione della Nuova Cina da parte del vicepresidente Deng Xiaoping e dalla creazione di un Paese socialista con però l’uso degli strumenti capitalistici, è stata eliminata la fame che colpiva oltre 1 miliardo di persone, era proibito avere più di un figlio e doveva essere maschio, mentre ora la fame non esiste più e circa 280 milioni di cinesi sono abbienti o ricchi e ricchissimi. Al contrario, negli Usa i poveri sono aumentati e lo stesso in larga parte del mondo, comprese vaste zone dell’Europa; e comunque la forbice fra poveri e ricchi si è drammaticamente allargata. Forse occorrerebbe che accanto alla democrazia classica siano adottati alcuni criteri cinesi di organizzazione della vita e dell’educazione dei cittadini.
Quantomeno sarebbe stato necessario che qualcuno, in Italia, in Europa e negli Usa, avesse studiato come la Cina ha debellato il virus, facendo ripartire l’economia. Qualcuno dei governi, delle università, dei partiti, degli scienziati, ci ha pensato a studiare a fondo la ricetta cinese? Allegato a questo giornale nel pieno della pandemia, quando l’Italia era bloccata, pubblicammo il Manuale per sconfiggere il virus e dei relativi trattamenti medici, pubblicato in Cina dalla Fondazione Alibaba, con la partecipazione delle maggiori università cinesi. Qualcuno, dal governo all’Istituto superiore della sanità, alla stessa Organizzazione mondiale della sanità si è preoccupato di pubblicare un manuale, cartaceo e digitale, per spiegare bene ai cittadini che cosa occorre fare per evitare il contagio?
Ciò che i cittadini hanno appreso è stato pubblicato esclusivamente dai giornali. Si è solo predicato, o da Palazzo Chigi o dalle sedi regionali, eminentemente per polemizzare l’un l’altro. Un flop è stata la app Immuni. Un flop non solo per la modestia dell’app stessa, ma soprattutto perché non si è fatto niente di promozione strutturata per farla adottare. Sarebbe stato un reato imporla a tutti gli studenti che sono, anche i meno abbienti, dotati di smartphone? E imporla ugualmente anche a chi sale sui mezzi pubblici? Eppure, per salire sui mezzi pubblici serve l’abbonamento o il biglietto. In tempo di Covid serve anche un’applicazione che effettui il tracciamento.
Invece, niente. Grandi discussioni sulla Regione Lombardia che ha fatto un ospedale in più e recriminazioni sulla mancanza di sanità dislocata sul territorio. Eppure, i medici di base esistono e anche loro hanno un telefonino e il computer (almeno si spera): non si poteva e non si può obbligarli a seguire un corso di prevenzione e di cura? Hanno lo stipendio dallo Stato e qualsiasi azienda che eroga il salario ai lavoratori ha il diritto di far fare, anche obbligatoriamente, corsi di formazione agli stessi.
Come mai, a parte la propaganda dei banchi e della necessità di aprire comunque le scuole, senza differenziazione di orario, i poderosi dipartimenti della ministra Azzolina o del governo nel suo complesso non hanno stabilito che prima di ogni altro insegnamento ai ragazzi fosse fatto un training su come comportarsi nell’era del Covid? Costava troppo pubblicare dei manuali e interrogare sull’apprendimento i ragazzi? Nelle aziende private sogno stati fatti corsi e regolamenti, rigidi. Nella casa editrice di questo giornale, chi non li rispetta viene multato e comunque per la sicurezza di tutti sono imposti percorsi obbligati e in primo luogo il distanziamento è stato attuato con l’obbligo di lavorare da casa appunto di uno su tre dipendenti. È meno produttivo? Assolutamente no, anche se è chiaro che in una casa editrice tutto o quasi si può fare via computer. Ma anche nelle fabbriche, dove la presenza fisica è indispensabile, le regole di sicurezza vengono rispettate e il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, ha ragione a dire che le fabbriche sono tra le aree più sicure, semplicemente perché lì, per produrre, ci sono regole precise, che vengono rispettate e quindi c’è la disponibilità a rispettare anche quelle della sicurezza Covid. Sarebbe stato o è impossibile, proprio nella scuola, abituare al rispetto delle regole?
Ma i presidi, perché hanno pensato e continuano a pensare che quel che succede fuori dalle mura della scuola non sia affar loro? Un esempio per tutti: l’Istituto Cattaneo a Milano, davanti a piazza Vetra. È un edificio immenso. Chi passasse alle 13-13,30 davanti vedrebbe dai 100 ai 200 studenti, uno attaccato all’altro, il 99% senza mascherina. E invece chi ce l’ha se la tiene, perché evidentemente ha maturato la coscienza del pericolo e del rispetto della salute degli altri. Ma gli insegnanti non dovrebbero essere impegnati a far crescere la coscienza dei ragazzi?
È vero, come hanno ripetuto, riempiendosi la bocca, da destra e da sinistra dal centro e dal mondo della cultura, dal Papa ai laici, che la scuola deve essere aperta. Ma nessuno finora si è peritato di dire come la scuola deve cogliere questo drammatico ma straordinario momento per far crescere nei ragazzi la coscienza dei rispetto della vita propria e degli altri, del rispetto delle regole e della capacità di sopportare anche corpi estranei come le mascherine. Che dovrebbero essere il modo per creare la coscienza che nella vita oggi si è tutto sommato fortunati. Far ripensare alla storia dei padri e dei nonni che hanno sopportato guerre mondiali. Il nemico da combattere c’è ancora e per sconfiggerlo ci vuole metodo, educazione, sistematicità. Non c’è da sparare o da difendersi dalle bombe.
La scuola, in tutto ciò dovrebbe essere in prima linea. Invece ora si scopre più che mai che la scuola non funziona perché chi insegna in molti casi non lo fa per i valori che l’insegnamento contiene. Spesso lo fa perché si lavora poco e perché non ha un altro lavoro. Certo, il primo esempio dovrebbe essere chi governa la scuola.
In prima linea, tuttavia, dovrebbero essere anche i genitori. Tutti, anche quelli che non hanno cultura sufficiente perché spesso la scuola dell’obbligo non ha insegnato niente di fondamentale.
Signor Presidente del Consiglio, lei che prima che politico è stato professore all’università, non sente il bisogno di lanciare un grande progetto per la riforma della scuola, che non sia fatta, non dovrebbe essere fatta, solo di aule, di banchi, di laboratori, ma in primo luogo di insegnanti che siano la migliore espressione del Paese? L’occasione è grande, non va persa. C’è da augurarsi che nei progetti da finanziare con il Recovery fund ci sia in prima linea la scuola, ma non per le mura, che pure servono, ma per garantire l’alta qualità di chi insegna.
Perfino nel liceo classico più famoso di Milano e d’Italia, il Parini, sono capitati episodi sconcertanti. Un professore ha letteralmente detto agli allievi: ma che cosa fate ancora al Liceo classico? Cambiate scuola. Da quel momento di disgregazione, che può darsi sia solo di un docente, i ragazzi sul sito si sono messi a scrivere tutto quanto quel professore dice in ogni lezione.
È un esempio, forse, anzi quasi sicuramente un’eccezione estrema, ma sintomatica.
A parte la scuola, il governo non può esimersi dal seguire il consiglio di uno dei maggiori esperti mondiali di pandemie, non dal lato sanitario ma da quello dei modelli matematici e degli strumenti da usare. Alessandro Vespignani, che segue tutte le pandemie del mondo, grandi e piccole, da Boston dove, da allievo del professor Mario Rasetti, guru del big data, insegna alla Northeastern university. «Dovete far funzionare assolutamente la app Immuni», dice Vespignani. I dati finora sono pietosi. In 9 milioni di cittadini hanno scaricato la app, la quale tuttavia ha mandato segnalazioni di soli 900 positivi. «Lo dissi anche a marzo quando fu lanciata», spiega l’allievo di Rasetti. «Perché un’app funzioni, occorre creargli un mondo attorno. A Immuni manca assolutamente il supporto post vendita. Ovvero ho l’app ma poi che succede? Con chi posso parlarne? Posso contattare un medico più velocemente? Posso fare subito un test? Senza queste cose l’app fa addirittura paura. Ti arriva una notifica di un contatto a rischio e sei solo».
Solita incompletezza italiana. Ma ci voleva molto, per esempio, chiedere a Tim, il più importante gestore italiano, di occuparsi di arricchire la app per farla funzionare come dice il professor Vespignani? Invece, sia pure in una emergenza come il Covid, chi si occupa di digitale nel governo ha continuato a litigare se un’azienda controllata dallo Stato, come Open Fiber, deve unirsi in un modo o nell’altro con Telecom Italia. È vero, sono due realtà quotate direttamente o indirettamente in borsa, ma per gestire l’emergenza possono lavorare insieme. Niente. Nove milioni hanno scaricato Immuni e il risultato fino a pochi giorni fa era di appena 900, dicasi 900 non 900 mila, tracciamenti.
La app cinese arriva perfino a inserire sullo smartphone il disco verde, per poter entrare liberamente o meno in qualsiasi locale, perché essendo centralizzata incamera anche tutti i dati personali, dalla temperatura corporea ad altri fattori. Il popolo è controllato dal grande fratello? Domanda risibile. Nel mondo occidentale esistono Google, Facebook, aziende private, che controllano tutto e tutti e ci fanno sopra miliardi di utili. Non puoi neppure pronunciare il nome Google, che Google vuole subito mettersi a tua disposizione, per tracciare anche le tue parole. Amen!