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 2020  ottobre 24 Sabato calendario

Il nuovo piano quinquennale della Cina

Solo la Cina, in un anno distopico come questo irripetibile 2020, poteva tirare dritto e riconfermare il consueto metodo della pianificazione quinquennale come architrave dell’economia, allungando lo sguardo fino al prossimo quinquennio e, per gli obiettivi strategici, addirittura fino al 2035.
A partire da lunedì 26 ottobre apre i battenti la Quinta sessione plenaria del 19esimo Comitato centrale del partito che si concluderà il 29 ottobre, a pochi giorni dalle elezioni che, all’altro capo del mondo, dovranno indicare il nuovo presidente degli Stati Uniti.
La gara americana è incerta mentre la governance cinese è salda, sempre più avvitata intorno alla figura di Xi Jinping, il vincitore del 19esimo Comitato centrale, con un mandato senza data di scadenza e il suo nome iscritto addirittura nella Costituzione cinese.
La Quinta sessione è un evento cruciale in vista della predisposizione del 14esimo nuovo piano quinquennale 2021-25 e della definizione degli obiettivi del prossimo decennio. Sarà questa l’ossatura delle mosse cinesi, dentro e fuori casa propria, nonostante lo shock collaterale del Covid-19, ovvero la “mutilazione” dell’obiettivo di crescita del 2020 indicato di norma dal Work Report della Plenaria del Parlamento cinese.
Si individua già il filo rosso che terrà insieme i due documenti strategici: è quella dual circulation citata per la prima volta dal core leader Xi Jinping in occasione del Politburo del maggio scorso, ovvero una nuova strategia economica che poggia meno sull’integrazione globale e di più sull’espansione dei consumi e del mercato interno.?
In queste settimane una serie di conferenze stampa del Consiglio di Stato sono state dedicate all’esame dei successi e degli insuccessi del 13esimo Piano quinquennale, dal settore dei trasporti alla lotta alla povertà, alla green economy.
È evidente che molti obiettivi sono stati raggiunti soltanto in parte, altri completamente mancati. Viene in mente quello di rendere convertibile il Renminbi entro quest’anno, una meta assolutamente utopistica, rimasta lettera morta.
Tuttavia, dal momento che gli scambi e la cooperazione internazionali saranno da Pechino ulteriormente approfonditi in nome del multilateralismo, nell’ambito del negoziato per il cambiamento climatico globale lo scorso 22 settembre Xi Jinping ha solennemente annunciato al dibattito generale della 75a Assemblea Generale delle Nazioni Unite che la Cina addirittura adotterà politiche e misure rafforzate per raggiungere la vittoria sulle emissioni di CO2 entro il 2030 agguantando la neutralità dal carbonio in largo anticipo, entro il 2060. Si vedrà quali mezzi il nuovo Piano saprà individuare.
Resta impossibile, in ogni caso, comparare lo scenario attuale con quello di un lustro fa. Cinque anni, un’era geologica fa per la Cina contemporanea. Quando fu varato il Piano in scadenza Xi Jinping aveva appena raggiunto le vette del potere, ma non ancora imposto la sua figura di core leader polverizzando l’opposizione interna. L’economia cinese viaggiava ancora al ritmo di due cifre, incurante delle conseguenze soprattutto sull’ambiente di una industrializzazione troppo veloce, Xi non aveva ancora lanciato il framework del Chinese dream né la Belt& road initiative con tanto di Aiib, la Banca asiatica degli investimenti nelle infrastrutture, una sorta di Banca mondiale alternativa. Il Go global delle aziende cinesi andava a gonfie vele. La Cina non poteva prevedere l’arrivo alla Casa Bianca di un Donald Trump così spiazzante per il retroterra culturale cinese, né la sua forza distruttiva con l’ambizione di essere creativa che avrebbe riaperto un solco tra due schieramenti mondiali, con tanto di guerra commerciale e tecnologica con la Cina, ma non solo. Né, infine, si poteva immaginare che a Wuhan si sarebbe manifestato con il nuovo anno una pandemìa con tutta la sua reale forza distruttiva in grado di mettere in ginocchio l’economia mondiale.
Proprio nell’economia, nella diplomazia e nello sviluppo industriale il nuovo Piano dovrà lottare con uno scenario radicalmente cambiato e i pianificatori di professione dovranno mettere in conto la possibilità di raggiungere una maggiore indipendenza di alta qualità da altri Paesi e forze esterne, specie in aree come la ricerca scientifica (leggi: semiconduttori di terza generazione) e la finanza. Rafforzare lo Stato e il partito, è un obiettivo scontato, tanto più che la crisi da Covid-19 ha rafforzato l’idea che la Cina deve proseguire imperterrita per la sua propria strada e, infatti, sta uscendo dal tunnel della crisi per prima tra le potenze mondiali.
Ma dovrà anche tenere presente che entro il 2022 la Cina dovrà lasciare la comfort zone di più grande Paese in via di sviluppo al mondo per transitare nella classifica d i quelli ad alto livello di sviluppo secondo i criteri della Banca Mondiale. Anche se la povertà interna è stata tenuta a bada, infatti, gli squilibri nella crescita tra aree e persone sono ancora molto forti. Dalla crescita ad alta velocità il Paese dovrà passare allo sviluppo di alta qualità.
E visto che la pandemia COVID-19 ha colpito le catene della domanda e dell’offerta in tutto il mondo, bastonando la globalizzazione, la Cina sembra avviata a perseguire un nuovo concetto e strategia di sviluppo. Garantendo per prima cosa la circolazione interna di risorse: è quella dual circulation che mette a fattor comune il livello nazionale e internazionale, in sincrono.