Tuttolibri, 24 ottobre 2020
Vecchie fotografie di maschi innamorati
C’è qualcosa di maniacale e di infantile in tutte le collezioni, tanto più in quelle che hanno per oggetto cose segrete o clandestine. Hugh Nini e Neal Treadwell, texani, hanno raccolto durante gli ultimi vent’anni oltre 2800 fotografie di maschi tra loro innamorati; trovandole nei mercatini americani prima di tutto, ma poi in varie aste e rovistando soffitte in molti luoghi d’Europa e Sudamerica. Più di trecento immagini della loro collezione sono uscite ora in un volume fotografico intitolato Loving (Five Continents Editions); in bianco e nero o seppiate, vanno dagli albori della fotografia o quasi (1850) fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Sono coppie di ogni ceto sociale, contadini, operai, impiegati, possidenti borghesi, parecchi militari; in tuta o in divisa, o in abiti eleganti e formali; corpi e volti comuni, qualcuno bello per dono di natura; pochi gli effeminati, parecchi baffoni e sigari; foto d’interno, in genere, tranne qualche prato o auto o piscina o distesa innevata, ma anche fondali paesistici in studio. La riservatezza evidentemente era importante, solo qualche amica del cuore o amico complice che scatta la foto, in rari casi anche qualcun altro che si fa ritrarre disinvolto insieme a loro. Ma spesso sono fototessere scattate in cabina, con gli amanti soli, o addirittura allo specchio con la macchina fotografica tenuta da uno dei due.
Riservatezza che compare pure in alcune dediche sul retro delle foto, dove si gioca sul tema dell’amicizia (la «camerateria» di Whitman); qualcuno scrive semplicemente «amici» o «compari di bevute»; qualcuno si spinge un po’ più in là («un amico e anche più di un amico» «il mio migliore "amico", ah ah»); qualcun altro, convinto che la foto capiterà solo in mani sicure, si abbandona alla tenerezza e all’allegria («il mio tesoro», «gli scemi del villaggio, folli come nella foto», «settimana indimenticabile», «oh ragazzi, che fuochi d’artificio»). Solo tre o quattro si concedono commenti più maliziosi o leziosamente profondi («io e Joe mentre parliamo delle cose che facciamo spesso a mezzogiorno», «mamma e papà», «Charles e Charles, due incantevoli spose»); una foto bulgara che sembra innocente, due uomini sorridenti sul calesse, rivela nel commento un inatteso coming out («ti mando una foto che probabilmente alzerà un velo su un lato della mia vita»). Ma la cosa più commovente è leggere lo stesso miscuglio di tremore e determinazione nelle immagini; composte, sobrie, pochi gli atteggiamenti sfacciati; sguardi che si rispondono, o uno che guarda appassionato il profilo dell’altro, o entrambi che sfidano l’obiettivo; mani che si intrecciano caute, le dita che sfiorano possessive una coscia o distratte si spingono in prossimità del «pacco»; sorrisi tirati che raramente si sciolgono nella risata, teste che si accostano romantiche mentre i cappelli finiscono di sghimbescio.
Nel guardarle ora, quelle foto, si può assumere una postura crepuscolare come quella di Gozzano davanti al dagherrotipo dell’amica di nonna Speranza, o riflettere in modo più militante sul fatto che il desiderio, più lo reprimi e comprimi, più trova fessure sottili da cui erompere (imitando il modello della coppia etero con un surplus di sdolcinatezza o di ironia). Dopo lo tsunami della liberazione sessuale, dopo l’orgia di muscolature gay levigate in palestra, questa prudente castità visiva appare irrimediabilmente vintage, e come tutto il vintage sta tornando di moda. Qui l’unica pelle esposta è quella dei bagnanti in castigati slip, o di qualche gamba fuori dalle lenzuola (la più muscolosa in giarrettiera); l’erotismo devi cercarlo nei dettagli, nel prima e dopo la foto («dopo il ballo» dice il commento di due sotto le coperte). Il volume non è narrativo, Nini e Treadwell non hanno avuto modo di sapere niente di quei lontani amanti - tranne che in un caso, grazie alle informazioni di un nipote, ed è una storia che meriterebbe un racconto. John Moore e il compagno d’armi Daniel Burns entrano alla fine di aprile 1945, con la Rainbow Division, a liberare il campo di concentramento di Dachau; un mese dopo, a resa della Germania avvenuta, si concedono una mini-vacanza a Kitzbühel e si fanno fotografare abbracciati in divisa sulla neve, forse dimentichi degli orrori che hanno visto, felici e con la fede all’anulare (zio Moore, tornato in Texas, diventerà un onesto padre di famiglia).
Sociologicamente, è forse la voglia di matrimonio la maggior sorpresa di queste foto: siamo ai primi del Novecento e, sia pure un po’ parodicamente, due fidanzati si scambiano gli anelli di fronte a un «celebrante» compagno di studi; altri si fanno fotografare al luna park a cavallo di giganteschi spicchi di luna o davanti alla réclame di una favolosa honeymoon; due adolescenti reggono orgogliosi un cartello con la scritta «not married but willing to be». Andrei piano però a dire, come fanno Nini e Treadwell nella prefazione, che «i sentimenti d’amore, dedizione e desiderio tra due persone sono gli stessi, a prescindere dal sesso degli interessati». Tutto dipende dal contesto culturale, dalla posizione economica, dall’esistenza dei figli, dal rapporto di potere esistente tra i partner. I sentimenti «eterni» ed «equisessuati» sono soltanto una nostra proiezione consolatoria. «Amore» è una parola-ombrello che copre praterie sconfinate di distinguo e di contraddizioni. Almeno una decina di queste foto, curiosamente, ritraggono gli amanti sotto un ombrello (reale, questa volta); un provvisorio riparo dal mondo, un modo simbolico di proteggersi dalla tempesta. Ora il vento ha cambiato direzione, gli omosessuali non hanno più bisogno di nascondersi, almeno su Instagram o in tivù e qui in Occidente, la minaccia semmai è l’esibizionismo omologante. Dopo aver vissuto per secoli la loro diversità nell’ombra, traendo dal segreto la loro forza, adesso il pericolo viene dai trabocchetti dell’uguaglianza.