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 2020  ottobre 24 Sabato calendario

Il caso dell’intervista al professor Giorgio Palù

Adriana Bazzi, Corriere della Sera
«Confusione»: se si dovesse riassumere, in una parola, la situazione Covid-19 in Italia oggi, questa sarebbe la più indicata, almeno nella testa della gente. Come uscirne? Intanto partiamo dalle impressionanti cifre dei bollettini giornalieri: ieri si parlava di 19.143 «contagi» o, in alternativa, di «casi» oppure di «positivi», tutti intercettati con i famosi tamponi. In crescita esponenziale. Ma che cosa questi termini nascondono in realtà? Lo chiediamo al professor Giorgio Palù, un’autorità indiscussa nel campo della virologia, professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia.
Professor Palù, la gente è sconfortata e non sa più a chi credere. Come rispondere?
«C’è tanto allarmismo. È indubbio che siamo di fronte a una seconda ondata della pandemia, ma la circolazione del virus non si è mai arrestata, anche se, a luglio, i casi sembravano azzerati, complice la bella stagione, l’aria aperta, i raggi ultravioletti che uccidono il virus. Poi c’è stato il ritorno dalle vacanze, la riapertura di tante attività e, soprattutto, il rientro a scuola».
Risultato: i numeri dei «casi» sono in aumento. Come interpretarli correttamente?
«Ecco, parliamo di “casi”, intendendo le persone positive al tampone. Fra questi, il 95 per cento non ha sintomi e quindi non si può definire malato, punto primo. Punto secondo: è certo che queste persone sono state “contagiate”, cioè sono venuti a contatto con il virus, ma non è detto che siano “contagiose”, cioè che possano trasmettere il virus ad altri. Potrebbero farlo se avessero una carica virale alta, ma al momento, con i test a disposizione, non è possibile stabilirlo in tempi utili per evitare i contagi».
Altri motivi per cui certe persone «positive» non sono «contagiose»?
«Perché potrebbero avere una carica virale bassa, perché potrebbero essere portatrici di un ceppo di virus meno virulento oppure perché presentano solo frammenti genetici del virus, rilevabili con il test, ma incapaci di infettare altre persone».
Allora, riassumendo: so che certe persone sono positive al tampone, so che sono asintomatiche, quindi non malate, so, però, che in una certa percentuale di casi (non è possibile stabilire quanto grande) possono contagiare altri. E, quindi, come comportarsi, visto che a Milano, per esempio, si è dichiarato il fallimento della possibilità di tracciare i contatti?
«Ci si dovrebbe attivare nel caso si individuino dei “cluster” (traduzione: raggruppamenti, ndr) : quando, cioè, il positivo è venuto a stretto contatto con altre persone in un ambiente di lavoro, a scuola o in famiglia. Allora si dovrebbero fare i tamponi a tutti».
Quindi, conoscere i dati giornalieri, come da bollettini, sui contagi/casi/positivi non è, in definitiva, utile?
Ricoveri «sociali»
In ospedale anche malati lievi che non possono stare a casa perché sono
soli o poveri
«Quello che veramente conta è sapere quante persone arrivano in terapia intensiva: è questo numero che dà la reale dimensione della gravità della situazione. In ogni caso questo virus ha una letalità relativamente bassa, può uccidere, ma non è la peste».
A che cosa attribuisce l’attuale impennata di casi?
«Certamente alla riapertura delle scuole. Il problema non è la scuola in sé, ma sono i trasporti pubblici su cui otto milioni di studenti hanno cominciato a circolare. Tenere aperte le scuole è, però, indispensabile».
Lei è contrario o favorevole a nuovi lockdown?
«Sono contrario come cittadino perché sarebbe un suicidio per la nostra economia; come scienziato perché penalizzerebbe l’educazione dei giovani, che sono il nostro futuro, e come medico perché vorrebbe dire che malati, affetti da altre patologie, specialmente tumori, non avrebbero accesso alle cure. Tutto questo a fronte di una malattia, la Covid-19, che, tutto sommato ha una bassa letalità. Cioè non è così mortale. Dobbiamo porre un freno a questa isteria».
Parliamo adesso di quel 5 per cento di persone positive al tampone e con sintomi. Che fine fanno?
«Chi ha sintomi gravi (polmonite, ndr) viene ricoverato. Ma ci sono anche i “ricoveri sociali”, mi informano i clinici. Persone che hanno disturbi lievi, ma non possono stare a casa perché sono soli o perché possono infettare altre persone in famiglia o perché sono poveri e non sanno dove andare».
Come funziona l’assistenza domiciliare delle persone positive?
«Se ne dovrebbero occupare i medici di famiglia, ma non esistono regole e protocolli che li orientino nella scelta delle terapie. Sono lasciati soli».


***


Luca Sofri, wittgenstein.it
Per tutto sabato sui social network un sacco di persone ha protestato contro l’intervista pubblicata la mattina da un grande quotidiano a un virologo che tra molte cose discutibili ha detto che tra i positivi al tampone «il 95 per cento non ha sintomi e quindi non si può definire malato». Un dato che è contraddetto da ogni evidenza e ogni analisi, come appunto hanno dimostrato in molti, al di là dei toni.
Certo, su molti dati ci sono margini di incertezza. Ma nessuno che consenta di sostenere la storia del 95%, e a cui comunque eventualmente dovrebbe essere applicata la stessa incertezza. E da domani le polemiche intorno a questa intervista andranno ad arricchire il grande repertorio di indignazione contro gli scienziati che dicono cose inaffidabili e contraddittorie, repertorio costruito anche da autorevoli commentatori spesso sugli stessi giornali che hanno affollato le loro pagine di interviste a scienziati che dicono cose inaffidabili e contraddittorie. E qui è la questione, purtroppo, ancora una volta. Lo dice Antonio Scalari di Valigia Blu, tacendo per signorilità che l’intervista sia stata ripresa e fotocopiata senza una perplessità da molte altre testate, con rare eccezioni.


«Ma tutto questo riguarda questioni scientifiche. L’intervista a Palù non è un’intervista scientifica, è un’intervista politica col bollino della “autorità indiscussa”, cioè del principio di Autorità. È politico infatti il messaggio contro la “isteria” contenuto nel titolo. È quello che sta girando, è quello che viene citato da Salvini e dalla destra. Il contenuto conta poco o nulla, conta il messaggio anti-“isteria”.
Palù da stamattina è, ancora di più, l’esperto di riferimento della destra e dei negazionisti. E questo col bollino della “autorità indiscussa”. Questo grazie all’intervista del Corriere, un’intervista fuorviante e scorretta anche dal punto di vista scientifico.
Questa, per capirci, è l’infodemia».


Il problema infatti non è il virologo di oggi o l’infettivologo di domani: nessuno di questi scienziati tanto criticati per quello che dicono ha puntato una pistola alla tempia dei responsabili dei grandi media nazionali costringendoli a ospitare i loro pareri. Ed è – al di là delle simpatie o antipatie – perfettamente legittimo che ciascuno di questi scienziati abbia delle opinioni o valutazioni che possano essere diverse da quelle di altri colleghi (figuriamoci su un evento così complesso): e sarebbe assurdo pretendere che una volta richiesti di dire la loro ne inventassero una coerente con quella dei loro colleghi. Alcuni scienziati sono palesemente più fessi di altri, è ovvio: capita in ogni categoria, la mia o la vostra. Ci si laurea senza superare esami di intelligenza, saggezza, sensibilità, modestia o ragionevolezza. (divertente che l’intervista di oggi inizi definendo l’intervistato “un’autorità indiscussa“, un attimo prima che la sua autorità e l’intervista vengano discusse per tutta la giornata)
Il problema è un sistema mediatico scellerato e teatrale che mette in scena liti, zizzanie, paure e indignazioni (quello che una volta i quotidiani rinfacciavano ai talkshow, e ora guarda) rimuovendo ogni responsabilità tradizionale della propria professione: che senso ha l’essere giornalista – intervistatore, caporedattore, vicedirettore, direttore – se di fronte a “il 95 per cento non ha sintomi” non si chiede nessuna spiegazione, non si avanza un dubbio, uno straccio di richiesta di chiarimento, se nessuno si chiede e gli chiede “ma questo dato da dove lo prende?”. E poi magari si celebrano poche pagine più in là le intervistatrici americane che hanno fatto obiezioni a Donald Trump. E poi sicuramente si ospiterà un altro commentino salace del proprio opinionista con rubrica da riempire che additerà ai lettori i dannati virologi, infettivologi, epidemiologi che parlano a vanvera (sapevate da dove viene vanvera? io ho googlato ora) e di cui non ci si può fidare. Tutto sull’Eco della Vanvera. E ci si offenderà, gonfiando il petto, delle critiche di chi non sa niente del lavoro dei giornalisti. E tutto si dirà
Ma ci sarebbe un modo semplice per risparmiarsele, e occupare meglio il tempo tutti quanti. 
«Sai una cosa? Ai vecchi tempi, tipo dieci minuti fa, facevamo le news bene. E sai cosa facevamo? Lo avevamo deciso» (Charlie Skinner, The Newsroom)