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 2020  ottobre 24 Sabato calendario

Su "Chisciotte" di Antonio Moresco (Sem)

Lo scrittore Antonio Moresco somiglia moltissimo a Don Chisciotte. Guardate le sue foto per capire come non ci sia niente di metaforico in quest’affermazione. Moresco è davvero identico all’hidalgo ossuto creato con gloria da Cervantes. Tanti, da Gustave Doré a Salvador Dalì, sono stati gli artisti che hanno immaginato l’archetipica figura come un tipo aguzzo, con occhi allucinati e fisicità verticale. Moresco appare così, e in più a suo modo è un Don Chisciotte per carattere e inclinazioni. Sfuggente a incasellamenti dentro i generi (scrive thriller surreali che però sono fiabe crudeli, che però si trasformano in horror metafisici, che però sono incubi etici), ha coltivato una sorte da transfuga della letteratura. O da prigioniero intento a scavare un tunnel nella sua cella (ricordiamoci che Cervantes destinò al suo personaggio mitico «le strane manie di chi è nato in fondo a un carcere») per raggiungere un pubblico affezionato e fedele, conquistando un personale impianto narrativo e stilistico svincolato da mode e condizionamenti.
Questo particolare «fuoriuscito da un sepolcro» (sono parole sue) ha firmato numerosi titoli per editori diversi, prima di farsi adottare dalla sigla Sem. Che non solo da qualche anno pubblica ogni suo lavoro, ma ha costruito un ricco sito a lui dedicato e ha avviato il recupero del suo intero catalogo. Le opere che lo formano (dalla Trilogia dell’increato fino a Il grido, Lo sbrego, Clandestinità e molto altro) descrivono un solitario di abissale pessimismo, impegnato in una lotta fantasiosa col mondo. Ribelle fuori- tempo e fuori- luogo, Moresco è un pittore di affreschi tenebrosi e radicali nello sdegnarsi di fronte alle ingiustizie che ci accerchiano.
È quindi naturale che egli sia giunto a un proprio Chisciotte, e infatti si chiama così la sua ultima avventura targata Sem, uscita un paio di giorni fa. La copertina ci mostra l’autore nelle vesti di un assurdo e impennacchiato cavaliere donchisciottesco: l’identificazione si è compiuta totalmente. Il libro nasce dal progetto di un film: stimolato da un’idea del regista Johnny Costantino, che sogna una pellicola sull’eroe della Mancia con Moresco nel ruolo protagonistico, questo terrorista della pagina ha voluto inventare una parabola su un «libero Don Chisciotte nostro contemporaneo», scandita da scene che sembrano inseguire il ritmo di un trattamento cinematografico.
Ecco come si articola la storia «esagerata e disarmata» ( aggettivi usati da Moresco) del suo Chisciotte. Nell’ospedale Miguel de Cervantes Saavedra, reparto Psichiatria, abita un Don Chisciotte scaraventato in questa nostra epoca disarmonica e brutale. Lo affianca un Sancio tatuatissimo e tamarro, che dell’attualità gli dice ciò che l’aulico Chisciotte non vorrebbe sapere. E cioè che la vita è una serie di volgarità, soprusi, violenze e delitti. Il tono di Moresco è incattivito e sbrindellato, e dal succedersi di quadri e situazioni non emerge mai l’architettura di una vera trama. Scorrono i ritratti dei vari folli: un’eterea Emily Dickinson si trova seduta in continuazione sul trono del water, un certo Franz Kafka porta mollette da bucato sulle orecchie, due matti recano gli appellativi di Tolstoj e Dostoevskij… I portantini grugniscono come cinghiali, rumorose congiunzioni erotiche avvengono tra medici e infermiere, le suore dondolano lungo i corridoi con chiappe immense, una giapponese invade gli spazi manicomiali col proprio mare di capelli inarrestabili e un nano gobbo e culturista si aggira fra i reclusi. Il primario va in altalena spiegando all’esterrefatto Chisciotte i meccanismi delle mafie letterarie, dove gli scrittori «si posizionano nelle istituzioni culturali e nei media e pensano a come rimpinguare le loro carte di credito». Nel pantagruelico contesto spicca una Dulcinea candida e pornografica, che tiene la fessura spudoratamente esposta. Chisciotte guarda i suoi «labbri» silenziosi: ha percezioni confuse sull’organo femminile. Chiede delucidazioni a Sancio, a cui il disquisire sul tema delle carnosità muliebri suscita una voglia sfrenata di masturbarsi… La prosa esprime il talento lunatico e furioso di Moresco, e la viscerale comicità del tutto dovrebbe indurci al riso. Eppure un senso di disperazione caotico e sfinente emana dall’impresa.