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 2020  ottobre 24 Sabato calendario

La Mauritania e il Nebraska

Le elezioni americane sono come il cinema americano, le serie tivù americane, le pop star americane, le major americane del web, la cultura di massa americana: occupano una porzione enorme della scena mondiale. In proporzione alla popolazione degli Stati Uniti, che è circa il cinque per cento dell’umanità, l’immagine dell’America è smisuratamente più grande, e ingombrante.
Sappiamo tutto del figlio di Biden, della moglie di Trump, perfino del genero di Trump, della composizione della Corte Suprema, di come votano le lesbiche del Greenwich Village e di come votano i nazisti dell’Illinois. E va bene. Non sappiamo niente, o quasi, dei moti democratici in Nigeria (duecento milioni di abitanti); o di come stanno andando le cose alla presidente dell’Etiopia, prima donna capo di Stato in tutta la storia africana, un evento davvero storico del quale, forse, è informato il due per cento dei viventi. Ci occupiamo, ogni tanto, dell’Egitto solo perché uno dei nostri figli è stato ammazzato dai sicari di quel regime; e uno dei tanti reclusi egiziani per ragioni politiche studia a Bologna. E della Libia perché arrivano da quelle spiagge molti carichi di migranti.
Certo, a leggere bene i giornali si trova qualcosa di più, sull’Africa; e ci sono siti specializzati e autorevoli, riviste, centri studi. Ma sto parlando della cognizione media – di massa – che l’umanità ha di se stessa. E dunque sto parlando del monopolio culturale, politico, economico che gli Stati Uniti esercitano sul resto del mondo, forse un poco meno sull’Asia, molto sull’Europa, moltissimo sull’Italia, che pure, dal Sudan e dalla Mauritania, dista molto meno che dal Nebraska.