Perché un alfabeto?
«Per prima cosa, volevo ricordare tutto quello che ho fatto in questi anni. E poi ho pensato che, tradotte in una forma chiara e diretta, quelle idee potrebbero aiutare chi vuole saperne di più. Oggi tutti parlano di moda sostenibile, non si sa più a chi o a cosa credere. Io seguo quei principi dal primo giorno, credo perciò di avere la credibilità necessaria. Come puoi dire agli altri come vivere se non sei tu a dare l’esempio?».
Come dice lei, la sostenibilità oggi è un tema assai popolare. Com’era quando ha iniziato?
«È divertente. All’inizio sembrava che, con i genitori che ho, non fossi autorizzata a fare la designer; come se fossi spudorata anche solo a pensarlo. Poi, quando mi è stato "permesso" di entrare nel sistema, mi sono rifiutata di rinnegare i miei principi per questo lavoro. Altro scandalo: come osavo pensare a modo mio? A me pare assurdo, la moda dovrebbe essere la scintilla che innesca il cambiamento, provocare ed emozionare sfidando lo status quo, e invece così non era».
Le cose però sono cambiate.
«Non grazie a chi fa questo lavoro. Se oggi posso parlare liberamente è perché il pubblico ha colto l’importanza di certi temi, e la moda si è dovuta adeguare. Lo vedo anche con i miei fornitori, molti dei quali italiani: all’inizio ogni mia richiesta di metodi e materiali alternativi era una lotta, perché ero solo io a volerli. Oggi invece per tutti loro la sostenibilità è il campo primario su cui investire, e i progressi sono rapidissimi. Sanno che non possono rimanere indietro».
Si sente una leader?
«Non ho mai voluto esserlo, è che non conosco altro modo di lavorare. E comunque non sono io che comando, sono gli altri che si stanno mettendo in pari. È come in politica: non c’è nessuno che dica "Ok, ho sbagliato, dovevo agire diversamente". Nessuno ammetterà mai l’errore, ma non voglio essere quella del "ve l’avevo detto". Sarebbe il mio ego a parlare, e non mi piace».
Tornando al manifesto, come ha scelto i vocaboli e gli artisti?
«È stato incredibile: tutti quelli a cui l’ho chiesto, mostri sacri e non, hanno accettato donando con generosità tempo e lavoro. Per le parole è stato semplice: ciascuna è legata al brand, che sia la N di natura o la D di desiderio. Anche il desiderio è fondamentale: sia chiaro, se oggi posso parlare è perché le mie collezioni piacciono».
Ogni look della collezione spring incarna una parola, come i capi fiorati ispirati a sua madre Linda, la L, scomparsa nel 1998. Difficile?
«Per niente, è la sintesi dei miei ultimi 20 anni. Per esempio, il vestito per la Z di zero sprechi è fatto solo con pezzi di vecchie collezioni. Mi piace il concetto del riciclo prezioso».
Non crede che ormai sia chiaro a tutti che la moda non è solo vestiti?
«Lo sta chiedendo alla persona sbagliata, per me è sempre stata molto di più! Spero solo che lo abbiano capito tutti. Oggi c’è troppo di tutto: troppi show, troppe collezioni, troppa merce invenduta, soprattutto a causa del fast fashion.
Così i consumatori non hanno più rispetto di ciò che indossano: dobbiamo far capire loro che hanno il diritto, e il dovere, di sapere dove un indumento viene fatto, quanta acqua è stata usata, quanti alberi sono stati abbattuti, quanto sono pagati i lavoratori che l’hanno cucito».
Basterà spiegarlo, secondo lei?
«È un ottimo punto di partenza. Così magari si abitueranno a pensare che invece di comprare una maglietta a 5 euro possono noleggiare qualcosa per la stessa somma, o magari possono vendere un pezzo che già hanno per investire su un indumento più caro, ma che durerà più a lungo.
Il sistema va rivisto dall’inizio alla fine: siamo tutti colpevoli di ciò che è stato sinora, ma è inutile batterci il petto. Cambiamo e andiamo avanti».
Il suo prossimo obiettivo?
«Comunicare meglio quello che faccio. Una delle domande che mi fanno più spesso è come mai pur essendo vegana, la Falabella (borsa bestseller del brand, ndr ) costi più di un modello di pelle: bisognerebbe chiedersi come mai la vita di un animale valga talmente poco che il nylon riciclato è più caro della sua pelle. Deve cambiare la prospettiva».
Un anno fa ha lanciato una linea sui Beatles. Pensa di farne un’altra?
«Chissà! Tra mio padre, Ringo e tutti i ragazzi è stata come una festa in famiglia: mi piacerebbe tanto».