la Repubblica, 24 ottobre 2020
I quattro Stati in bilico che decidono il voto Usa
Rust Belt, cintura della ruggine: dove c’era il cuore del capitalismo industriale americano e oggi c’è un paesaggio in declino, fabbriche chiuse, impoverimento, tossicodipendenze che colpiscono ex operai bianchi di mezza età. La sfida per la Casa Bianca si gioca lì, come nel 2016. Altri Stati-chiave, o terreni di battaglia contesi fra i due candidati, sono la Florida, l’Arizona, la North Carolina, con caratteri demografici e culturali diversi. Ma non c’è un percorso realistico verso la rielezione di Donald Trump, che non passi per quattro Stati della Rust Belt: la Pennsylvania che vale 20 voti nel collegio elettorale, l’Ohio con 18 voti, il Michigan (16) e il Wisconsin (10). La buona notizia per Trump: è ancora fattibile.
A quest’epoca quattro anni fa Hillary Clinton veniva data favoritissima nei sondaggi, con margini di sicurezza: 12 punti in più nel Michigan, 7 in Pennsylvania e Wisconsin. Tutti e quattro gli Stati della Rust Belt finirono nella casella di Trump. Una rimonta è ancora possibile, i repubblicani ne sono certi, dopo il duello in tv di martedì dove il presidente se l’è cavata.
Che cosa andò storto per i democratici quattro anni fa? Hanno imparato la lezione? Clinton fu accusata di aver dato per scontato che il Midwest avrebbe votato democratico; fece pochissime apparizioni in campagna elettorale da quelle parti (neanche una nel Wisconsin). Tra le categorie che la tradirono, le donne bianche: votarono per Trump con 9 punti di scarto. Tra gli elettori senza titolo di studio universitario – dove si concentra la classe operaia – il consenso era stato in favore di Barack Obama nel 2012 con 12 punti di margine, si spostò su Trump con 7 punti. Spostamenti enormi, poco frequenti nella storia elettorale. Spiegano perché quest’anno Biden ha preso delle posizioni moderate – scontentando l’ala radicale e giovanile della sinistra – sul fracking, tecnologia di estrazione di gas e petrolio: non vuole regalare di nuovo a Trump i voti di chi lavora nelle industrie energetiche o collegate, un business ancora importante nell’area di Pittsburgh.
Lo stesso problema si pone in Ohio, nei monti Appalachi: lì vive una classe operaia bianca impoverita, quella che le élite chiamano col termine spregiativo di white trash (spazzatura bianca) o rednecks (colli rossi), e per la quale Hillary coniò un suo appellativo, “i deplorevoli”. Clinton quattro anni fa perse l’Ohio in una débacle memorabile, appena il 43% dei voti, il peggior risultato del partito democratico dai tempi del presidente repubblicano Ronald Reagan (il quale aveva una forte capacità di attrazione verso la classe operaia).
Il Michigan, cuore dell’industria automobilistica americana, diede una vittoria risicata per Trump: diecimila voti su quasi cinque milioni. Nel mondo dell’industria automobilistica fece breccia l’attacco contro i trattati di libero scambio, la promessa di dazi contro le importazioni cinesi. Il presidente torna alla carica in questi giorni: si presenta come il difensore dei posti di lavoro minacciati dalla concorrenza della Cina; accusa Biden di essere sempre stato favorevole alle liberalizzazioni commerciali. Il suo rivale però è meno vulnerabile di Hillary. Biden è riuscito a costruirsi un’immagine da uomo della middle class, di origini popolari. Non ha mai suscitato la stessa antipatìa che molti operai sentivano verso la “élitaria” Clinton. Il bilancio economico di Trump, positivo per i primi tre anni, è macchiato dalla recessione attuale.
Lontano dalla Rust Belt, il più importante fra gli Stati contesi rimane la Florida. Vale 29 voti elettorali, quest’anno ha raggiunto al terzo posto per importanza lo Stato di New York… anche grazie ai newyorchesi “profughi fiscali” come Trump che a Mar-a-Lago ha stabilito la sua seconda Casa Bianca. Il peso di ogni Stato in voti del collegio elettorale viene aggiustato in base alla popolazione e quella della Florida continua a crescere. Aveva 15 milioni di abitanti nel 2000 quando decise un’altra elezione (Bush- Gore), oggi ne ha 22 milioni. Ad aumentare il numero di residenti hanno contribuito flussi di pensionati del Midwest in cerca di un clima mite, ricchi della East Coast in cerca di un paradiso fiscale (la Florida non ha addizionale Irpef), ispanici. Il continuo rimescolamento demografico rende la Florida volatile, imprevedibile. Il voto ispanico, per esempio, non è un blocco. I cubani sono più a destra, i portoricani votano a maggioranza democratico. Altre categorie come gli ex immigrati dal Messico o dal Centroamerica possono seguire le stesse linee di demarcazione del voto bianco: più a sinistra i giovani; a destra quei redditi medio-alti che temono un aumento della pressione fiscale con Biden alla Casa Bianca.