la Repubblica, 23 ottobre 2020
Maynu, tre dita ribelli in Thailandia
Con la coda di cavallo, l’uniforme bianco-blu e i libri sottobraccio, Supitcha Chailom detta Maynu, 18 anni, somiglia a tante altre sue coetanee della gioventù thailandese: paradossalmente, è stata proprio la sua ordinarietà a farla diventare il simbolo della “Gioventù libera”, il movimento giovanile che da mesi scuote la Thailandia, chiedendo le dimissioni del primo ministro e la riforma della monarchia. Un movimento dove i leader non hanno bisogno di investiture formali, perché composto di persone normali. Come Maynu, appunto.
Dopo settimane di lotta Maynu e i suoi compagni ieri hanno ottenuto una prima, significativa, vittoria: sei giorni dopo le cariche coi cannoni d’acqua sui manifestanti, il governo ha allentato le leggi d’emergenza che impedivano raduni e diffusione di notizie dai siti delle rivolte. Merito della testardaggine di questi ragazzi, che non sono mai arretrati nelle loro richieste: il premier, l’ex generale Prayut Chan-ocha, aveva ricevuto mercoledì notte dalla “Gioventù libera” una lettera di dimissioni da firmare entro sabato. I ragazzi avevano accompagnato la missiva con un flash mob, che si era disperso subito dopo la consegna: per ora le dimissioni non sono arrivate, ma intanto c’è stata la concessione sulle leggi d’emergenza. Nell’annunciarla, l’ex militare non ha fatto nessun accenno alla possibilità di farsi da parte solo perché lo dicono dei ragazzi e ragazze che potrebbero essere suoi figli.
Se c’è una cosa che questa gioventù ribelle detesta è ogni atteggiamento paternalista: non solo gli studenti universitari, ma anche ragazzi e ragazze delle scuole superiori sono stanchi di sentirsi dire dai genitori che «hanno fatto il bagno caldo prima di loro», un’espressione tradizionale thai che significa «la sappiamo più lunga di te». A fare diventare questo modo di dire virale tra i giovani thai che seguono le proteste via social da ogni angolo del regno, è stata proprio un’intervista di Maynu.
La ragazza per la prima volta è finita sotto i riflettori per una foto che la coglie mentre alza al cielo tre dita: il segnale dei Distretti ribelli di Hunger games che in Thailandia è diventata una sorta di parola d’ordine della rivolta.
In un’intervista al giornale locale Thisrupt, Maynu descrive scene di conflitto in famiglia per la sua scelta di unirsi alle proteste. Dice che genitori e parenti la accusano di «essere stata manipolata e usata», e le ricordano continuamente che fine fecero gli studenti ribelli del 1973, o del 1992, feriti e uccisi per aver osato ribellarsi alle autorità. Un giorno ha deciso di postare su Facebook un messaggio al padre: «Se sei così preoccupato, andiamo insieme alla protesta», gli ha scritto. Alla giornalista che l’ha intervistata ha spiegato cosa prova quando i grandi le dicono di lasciar perdere la politica. «È un pensiero molto arretrato. Oggigiorno c’è una crescente consapevolezza dei diritti e della libertà: la politica è per tutti. Anche i giovani sono cittadini in questo Paese».
La fermezza di Maynu non transige nemmeno davanti alle lacrime della madre. «Mi ha detto cose come: “Non mi ami? Non hai paura di essere colpita?”. Anche lei pensa che non sono una persona capace. Ma io almeno so ascoltare gli altri, i ragazzi come me che subiscono a casa e a scuola gli abusi di un sistema patriarcale opprimente. Abbiamo un mondo intero che ci aspetta e ne siamo tutti pilastri».