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 2020  ottobre 22 Giovedì calendario

Fiducia ai minimi, tasso di risparmio ai massimi

Per misurare l’incertezza sui mercati finanziari gli esperti osservano l’andamento del Vix (altresì noto come indice della paura) che sintetizza la volatilità in Borsa. Più è alto più vuol dire che gli investitori sono confusi, incerti, fino ad arrivare (come accaduto lo scorso marzo quando il Vix ha superato gli 80 punti spostandosi ben oltre i livelli toccati nel 2008 dopo il fallimento di Lehman Brothers) a stati di panico collettivo.
Anche l’economia reale ha il suo indice Vix. Per capire quando le famiglie vedano nero sul futuro basta osservare il tasso di risparmio. Più è alto più vuol dire che la gente preferisce mettere fieno in cascina (in attesa di tempi migliori) preparandosi al peggio. I dati indicano che in Europa questo tasso è raddoppiato in sei mesi, portandosi al 24%. Ha avuto un picco oltre il 30% negli Usa ed è sostanzialmente triplicato in Gran Bretagna e in Italia.
Al tasso di risparmio fanno da contraltare i consumi che vengono congelati, sospesi, rimandati durante le fasi di profonda incertezza scatenando effetti a cascata sull’offerta. Se la domanda cala anche l’offerta (per non avere magazzini pieni e inefficienti) pian piano si adegua al ribasso alimentando una spirale recessiva. Ed è per questa china che poi le imprese sono costrette a tagliare i posti di lavoro (aumenta il tasso di disoccupazione). Alla fine del cerchio il prodotto interno lordo cala, subendo gli effetti della sostituzione dei consumi in risparmi.
I grafici a fianco evidenziano in modo schiacciante lo shock endogeno subìto dai vari Paesi a causa del coronavirus. Shock misurato dal “Vix delle famiglie”, ovvero dall’andamento del tasso di risparmio. Nell’Eurozona questo tasso è balzato dal 12,5% di inizio anno al 24,6%. Negli Stati Uniti l’escursione al rialzo è stata ancora più forte dato che i risparmi sono balzati tra marzo e aprile al 33,6%, salvo poi ridiscendere al 14%, un livello che rappresenta pur sempre il doppio rispetto ai valori esibiti a inizio anno e che comunque contraddicono lo spirito dell’economia statunitense, fortemente incentrata proprio sui consumi.
Tra i singoli Paesi ancora più eclatante il dato del Regno Unito: nel secondo trimestre del 2020 il tasso di risparmio delle famiglie è balzato al 28,1% rispetto al 9,1% dei tre mesi precedenti. Più del triplo.
Cosa ci racconta il “Vix delle famiglie” in Italia? A gennaio era al 7,9% (livelli pre-Covid praticamente statunitensi), a marzo è salito al 13,3% per poi balzare a metà anno al 18,6%. Lo shock nel rapporto di amore e odio tra consumi e risparmi si è quindi fatto sentire anche in Italia. Il dato, tuttavia, è più basso rispetto alla media europea (24%), quasi la metà dell’impressionante rilevazione analoga in Spagna (31,13%) e comunque inferiore a quello della virtuosa Germania (21,1%). Come mai? Vuol dire che gli italiani stanno spendendo di più? Vorremmo credere a questa suggestione ma in realtà la risposta è un’altra e va, ancora una volta, cercata nei numeri. Fatto 100 il reddito delle famiglie nel 2001 in Germania, Francia, Spagna e Italia dopo circa 20 anni questo in termini reali (depurato cioè per l’effetto “corrosivo” dell’inflazione) si è trasformato in 126 in Francia, in 122 in Spagna, in 117 in Germania mentre è regredito a 99 in Italia. In sostanza dal 2000 le famiglie italiane si sono leggermente impoverite mentre le vicine europee si sono arricchite. Questo si è riflesso in un sostanziale e storico costante declino del tasso di risparmio, dimezzatosi dal 13% del 2002 al 7,9% di fine 2019. Calo dovuto non tanto al contestuale balzo dei consumi, quanto alla contrazione del potere d’acquisto. Questo spiega anche perché negli ultimi mesi, pur essendo aumentato, il tasso di risparmio delle famiglie italiane poggi su livelli più bassi rispetto ai vicini europei. Perché alla base c’è meno reddito da impiegare (nei consumi quando le cose vanno bene) e da destinare ai risparmi (quanto le cose si mettono male).
Si può fare qualcosa per ribaltare la situazione? «La politica dovrebbe dare messaggi più chiari – spiega Vittorio Pelligra, professore di Politica economica -. Nel bene o nel male i consumatori hanno bisogno di certezze. Ad esempio, sarebbe preferibile già conoscere se a dicembre ci sarà oppure no un nuovo lockdown. Se ne parla ma nessuno può metterci la mano sul fuoco. Così, in questo clima di incertezza si rimandano i consumi mentre nella certezza di un lockdown questi potrebbero essere orientati in beni e servizi che tendono ad essere più richiesti nelle fasi di chiusura degli esercizi. La politica dovrebbe quindi lavorare in due direzioni in questo momento delicato – prosegue Pelligra -. Il primo passo è prendere decisioni più nette. In questo senso un lockdown dichiarato sarebbe preferibile a uno atteso o immaginato dalle famiglie. Se i contorni sono chiari viene meno l’incertezza di fondo che spegne le aspettative sul futuro. Ma se invece arrivano indicazioni precise, anche in senso più restrittivo, i consumi paradossalmente possono ripartire. Certo, in veste modificata, ristrutturati. A titolo di esempio, in caso di lock down le famiglie sposterebbero il budget per la palestra verso servizi di pay-tv. Mentre in uno scenario di confusione non scelgono né la prima né la seconda soluzione. Rimandando la spese. Come secondo punto – conclude il professore – occorrono politiche fiscali di supporto alla domanda. Investendo in settori come l’infrastrutturazone informatica delle famiglie, erogando bonus per banda larga e didattica a distanza e così via». Insomma, alla politica toccare fare il suo. Probabilmente con meno annunci, ma più incisivi. In modo tale da rendere più nitide le idee ai cittadini che convivono da sempre con la doppia anima del consumatore e del risparmiatore. Perché, così come quando in Borsa regna l’incertezza gli investitori non possono far altro che vendere allo stesso tempo quando quella stessa incertezza attraversa l’economia reale e le aspettative sul futuro le famiglie non possono far altro che risparmiare.