la Repubblica, 22 ottobre 2020
Torna il docu-reality “Il Collegio”
Se c’è ancora qualcuno che non coglie la differenza fra didattica in presenza e didattica a distanza, un buon corso accelerato sul tema potrebbe essere la nuova stagione del docu-reality Il Collegio, in onda su Rai 2 da martedì 27 in prima serata. Ma d’altra parte, nel caso, si tratterebbe di un difetto, più che d’immaginazione, di memoria: significa non riuscire a ricordare che cosa vuol dire vivere una giornata sui banchi di scuola. Significa averlo dimenticato. Anche se il collegio in questione è un imponente e austero palazzo di Anagni, anche se i professori sono accigliatissimi, caricatura quasi felliniana dei docenti inflessibili, danno del lei agli studenti e li chiamano per cognome (preceduto da signor o signorina), anche se i sorveglianti requisiscono smartphone e generi di conforto, anche se il ferreo preside invita al rispetto di questo «presidio di onestà e rettitudine», lo strano impasto di emozioni che è la scuola non viene ingabbiato. In qualche modo, esplode. Perché la scuola è sì la lezione di statistica della professoressa Petolicchio – fra sbadigli e nebbia in testa – o il test in cui si chiede agli aspiranti collegiali di coniugare “nuocere” al passato remoto (cadono anche i migliori, non fate i gradassi). Ma poi è anche tutto il resto: la timidezza, l’anticonformismo, l’ignoranza e l’arroganza di ciascuno; il tempo rapidissimo in cui si passa dalla reciproca diffidenza alla condivisione. Essere parte di una piccola comunità. Condizionata e messa alla prova da regole disciplinari vecchio stile, con tanto di uniforme da conquistare e indossare. E da una sorta di macchina del tempo che costringe ragazze e ragazzi post-novecenteschi a piombare nel 1992.
“Back in the 90’s” è il sottotitolo della nuova stagione, che trascina i TikToker nati negli anni Duemila nell’Italia di Tangentopoli e delle stragi di mafia, ovvero, per loro, nel medioevo. Nell’Europa sbalestrata e euforica dopo la caduta del Muro, con colonna sonora d’epoca, dagli Oasis a Luca Carboni («Chi sono gli 883?» domanda candidamente un’allieva) e tecnologie retrodatate. Il cellulare, intanto, si molla all’ingresso, con conseguente sconcerto, o meglio shock, tutto sommato recuperabile. Perché poi il giorno per giorno “in presenza” è forse più travolgente perfino delle notifiche social. Forse. Anche se, per raccontarsi, una ragazza dice che da grande vuole «fare Chiara Ferragni». E ciascuno dei protagonisti diventerà a suo modo una piccola gloria locale fra gli over 50 residenti nei pressi, e un influencer nazionale fra gli under 20. Che seguono poco la tv generalista ma per Il Collegio fanno un’eccezione, o lo recuperano su RaiPlay. E postano, condividono, commentano. Fra i ventuno partecipanti, ancora prima che vada in onda, c’è chi ha già diverse migliaia di follower su Instagram. Raddoppieranno.
La narrazione affidata, fuori campo, a Giancarlo Magalli, sanamente antiretorica, cuce appelli, lezioni, compiti in classe, sfoghi e entusiasmi. Si comincia con i genitori che piangono ai cancelli o si dichiarano ahimè fan dei propri figli, e si prosegue fra tirate d’orecchio e impreviste commozioni. Come quando una ragazza, che fino lì aveva fatto la sbruffona, si dispera per dover lasciare ai sorveglianti un braccialetto, memoria di importanti amicizie estive. O come quando arriva il momento di leggere i temi fatti in classe e tutti hanno gli occhi lucidi ascoltando le meditazioni dei propri compagni sul tema del coraggio. Perché quando un collegiale racconta il peso dello sguardo altrui sui suoi chili di troppo (poi smaltiti) – «gli altri mi guardavano e mi skippavano», dice nel suo gergo – non c’è chi non si senta coinvolto. Il giudizio delle persone: il vero immenso impaccio se hai quattordici anni. Ma forse anche dopo. La classe è variegata, multiculturale; c’è chi ha storie dolorose alle spalle, e il bello – proprio come a scuola – è quando dietro una maschera, magari piuttosto apatica o strafottente, viene fuori all’improvviso una persona. Un giovanissimo uomo che ti dice che la cosa più faticosa della sua vita è «convivere con me stesso». Una giovanissima donna, in apparenza fin troppo solare, che confessa di avere inserito questa modalità per tirarsi su di fronte alle difficoltà e ancora di più per dare forza alla madre. Anche il prof occhialuto, a quel punto, sembra cedere un po’. Non dico che si ammorbidisca, ma finalmente trova la frequenza giusta su cui sintonizzarsi con questi ragazzi d’oggi in temporaneo ostaggio del 1992. Ciao TikToker, fuori da TikTok, se si può dire, siete perfino più sorprendenti. Lui non lo dice, ma si vede che lo sta pensando.