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 2020  ottobre 22 Giovedì calendario

Il problema di smaltire le mascherine

Quest’anno l’utilizzo delle mascherine è oramai entrato a far parte stabilmente del quotidiano di ciascuno, come strumento di contenimento del rischio Covid-19 consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e soluzione efficace se, rispetto all’equivalente di altri Stati, consideriamo la situazione italiana (dove questo tipo di dispositivo di protezione individuale è obbligatorio da tempo nei luoghi pubblici e ora anche all’aperto). Se una mascherina per mantenere la propria efficacia va sostituita con regolarità è poi altrettanto importante che, una volta rimossa, venga anche correttamente smaltita, sia perché non diventi vettore di contagio in caso di positività dell’utilizzatore e sia perché non concorra all’inquinamento globale già problematico di per sé.
Secondo Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel 2020 i dispositivi di protezione individuale complessivamente utilizzati ammonteranno ad un volume di rifiuti compreso tra 160mila e 440mila tonnellate. Una mole molto rilevante che si somma all’incremento dell’8 per cento nei quantitativi di rifiuti plastici in rapporto all’equivalente periodo del 2019 e al generalizzato riorientamento dei consumatori verso la scelta di alimenti imballati per acquisti online come rilevato da Corepla-Susdef.
In più, in base alle indicazioni dell’Istituto superiore di sanità, è necessario interrompere la raccolta differenziata nelle abitazioni dove risiedono persone malate o positive al tampone o in quarantena obbligatoria per Covid-19: per comprensibili ragioni di prudenza, ma con l’esito finale di vanificare gli effetti positivi sull’ambiente delle ormai sedimentate formule di recupero dei materiali riciclabili. A ciò si aggiunge il rischio che parte dei dispositivi di protezione individuale vengano dispersi nell’ambiente, tanto che il Ministero competente (in collaborazione con Guardia costiera, Ispra, Iss, Enea e Commissione Colao) ha realizzato una campagna di comunicazione ad hoc, utile a sensibilizzare sui comportamenti corretti da applicare, ovvero stoccare mascherine e guanti tra i rifiuti indifferenziati oltre a ricorrere, ove possibile, a prodotti riutilizzabili.
Se si pensa all’apertura della scuole dove ogni giorno verranno utilizzate ulteriori 11 milioni di mascherine e agli inceneritori adibiti allo smaltimento della spazzatura indifferenziata dove, per l’accresciuto carico, si rischia di dover trattare quantità eccedenti la potenzialità, allora è chiara la necessità di soluzioni che inneschino virtuosi percorsi di economia circolare, ovvero processi di rigenerazione dei materiali, reimmettendoli nel ciclo produttivo in modo tale da massimizzarne il grado di utilizzo. La circolarità può infatti essere declinata per far fronte alla mole di mascherine che Covid-19 impone di utilizzare, come già mostra la promozione di filiere dalla produzione al riciclo da parte di Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico. L’avvio di progetti di questo tipo si registra già in Lombardia e soprattutto a Bergamo, luoghi gravemente colpiti da Covid-19, ma che evidentemente mostrano alte capacità di reazione.
Dal punto di vista progettuale, il modello operativo ruota attorno a tre fasi da attivare in parallelo. Per un verso occorre infatti prevedere un tempo di ricerca e sviluppo per definire prototipi di filtri monouso e soprattutto monomateriale, per facilitare le pratiche di riciclo in un’unica soluzione e senza che siano necessari ulteriori procedimenti di deassemblamento. Per altro verso, occorre anche creare punti di raccolta dei filtri utilizzati e attivare opportune partnership per assicurarne il posizionamento in luoghi in cui l’accesso avviene con alta frequenza (come supermercati o stazioni). In più occorre progettare sistemi di ricompensa che inneschino e radichino negli utilizzatori un’abitudine virtuosa (come buoni sconto ottenuti per ogni filtro esausto riconsegnato alla filiera e utilizzabili per ’acquisto di un successivo filtro).
L’auspicio che le filiere circolari vengano avviate in tutto il territorio nazionale è sicuramente molto fattibile posto l’Italia ottiene già da due anni il primato nella classifica complessiva di circolarità del Circular Economy Network (Italia 100 punti, Germania 89, Francia 88, Spagna 71). Secondo il Rapporto sull’economia circolare 2020, infatti, in Italia si riesce particolarmente bene a rendere produttive le risorse (per 1 Kg di beni consumati si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24 euro). Si tratta quindi di riorientare conoscenze e competenze già detenute e già validamente messe in atto.
Ricercatrice Centro di ricerca
e documentazione Luigi Einaudi di Torino
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Eleonora Maglia