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 2020  ottobre 20 Martedì calendario

QQAN10 Su "Sul vulcano" di Federico Fubini (Longanesi)

QQAN10

Viviamo tutti su un vulcano. Per il titolo del suo nuovo saggio Sul vulcano. Come riprenderci il futuro in questa globalizzazione fragile (Longanesi), Federico Fubini si ispira al Vesuvio, che potrebbe esplodere da un momento all’altro, ma gli abitanti della bella Ercolano preferiscono non pensarci. «Ci siamo abituati», spiega una bisnonna sessantanovenne.


Ma il vulcano è soprattutto quello su cui vive oggi «l’umanità nella globalizzazione». Il vicedirettore ad personam del «Corriere della Sera» scrive che «c’è un vuoto culturale, in Italia e in Occidente, fra due estremi: il pauperismo ostile alla modernità da una parte e, dall’altra, l’accettazione acritica di qualunque cosa la globalizzazione porti con sé». Lui vorrebbe evitare entrambi, convinto che il compito degli uomini e delle donne del XXI secolo sarà quello di risolvere i problemi della globalizzazione in modo da salvarne i benefici.


Questo libro è figlio del lockdown. «Il coronavirus ci obbliga a prendere atto, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che la globalizzazione costruita negli ultimi tre decenni è un corpo potente, integrato nelle sue parti, ma privo degli anticorpi necessari e così strettamente interconnesso nei suoi nodi anche distanti fra loro da essere più fragile di quanto sembri».


Episodi come la carenza di certi farmaci in Italia durante la pandemia — poiché i principi attivi sono ormai prodotti quasi solo in India e in Cina — sono una piccola scoperta di come la globalizzazione ci renda più vulnerabili. Ma il virus è solo l’ultimo di una serie di «traumi globali»: dall’11 settembre alla banca Lehman Brothers lasciata fallire nel 2008 e alla Grecia «lasciata cadere», due casi di «sottovalutazione delle interconnessioni» e delle conseguenze per tutti.


In questi anni tanti esperti hanno preteso di conoscere le risposte, mentre non ponevano nemmeno le domande giuste. Eppure c’è sempre qualcuno che «l’aveva detto». Uno dei personaggi più affascinanti del libro è Raghuram Rajan, indiano, che è stato il primo capo-economista del Fondo monetario internazionale non proveniente da un Paese ricco. «Alto, misurato, stranamente privo dei tratti di egocentrismo che nel suo mondo sono un fenomeno endemico», nel 2005 gli fu chiesto di pronunciare un discorso inaugurale al simposio della Federal Reserve, che quell’anno celebrava Alan Greenspan alle soglie della pensione. Rajan avrebbe voluto raccontare come nei due decenni in cui Greenspan era stato al timone della Fed il mondo fosse diventato più sicuro. Ma più studiava, meno ne era certo. Alla fine, il suo discorso fu una previsione delle forze che tre anni dopo avrebbero portato al fallimento di Lehman Brothers, «una radiografia dei mali che lavoravano sotto la superficie come la lava che si accumula nelle cavità di un vulcano mentre lungo le pendici tutto resta tranquillo». Parlando subito dopo, Larry Summers, presidente di Harvard, ex segretario al Tesoro di Bill Clinton, smentì quella visione «plumbea, anti-moderna, fuori strada», in una sorta di «pestaggio verbale». Ovviamente aveva ragione Rajan.


Ai piedi del vulcano, le diseguaglianze crescono. Non solo nei Paesi ricchi, dove sono ormai radicate nella struttura dell’economia e hanno contribuito all’elezione di Donald Trump e alla Brexit. Non solo nei Paesi più poveri. Crescono anche nella maggioranza dei «Paesi del ceto medio della globalizzazione, quelli che noi occidentali consideriamo — in gran parte a ragione — i vincenti di questa fase storica». Fubini prende in considerazione 37 nazioni che si trovano nella fascia di reddito medio tra 10 e 20 mila dollari, dove eravamo noi italiani mezzo secolo fa (Albania, Brasile, Bulgaria, Egitto, Turchia, Sudafrica… e naturalmente la Cina) e nota anche che le libertà politiche e civili stanno diminuendo, nonostante le promesse dei teorici della globalizzazione.


Intanto, mentre gli occidentali sono occupati «a curare la loro sindrome post-traumatica dopo l’11 settembre, la crisi finanziaria, e nel pieno dello tsunami populista, Pechino ha preso il controllo dei gangli della globalizzazione dai quali noi ci eravamo assentati». Si presenta come campione della globalizzazione, ma al contempo espelle le forniture industriali degli altri Paesi e riporta al proprio interno intere filiere: vuole che gli altri dipendano dalla sua potenza produttiva, ma non vuole dipendere da altri. Guidata da un desiderio di rivincita nel sistema internazionale — che è tutt’uno con il desiderio personale di rivincita del suo leader Xi Jinping — la Cina sta costruendo una rete di alleanze e Paesi satelliti che può chiamare a raccolta per disinnescare iniziative che contrastano con i suoi interessi — e abbiamo visto quanto conti la sua «influenza paralizzante» sull’Organizzazione mondiale della sanità.


Sul vulcano sostiene che per capire il nostro mondo e gli spillover, i debordamenti potenzialmente catastrofici da un settore all’altro dell’agire umano, bisogna uscire dal proprio «silos», dal settore di competenza ultra-specialistica nel quale ci sentiamo a nostro agio — che si tratti di finanza, clima, migrazioni — perché sono tutti interconnessi, e proprio questi legami aumentano i rischi. Un punto di vista leggermente «esterno» ha aiutato Raghuram Rajan a vedere correlazioni che ad altri parevano prive di senso.


Fubini racconta di aver ricontattato l’economista durante la pandemia: è stato governatore della Banca centrale indiana, ora insegna all’Università di Chicago. Rajan sottolinea che il vero problema non è capire: è agire per cambiare rotta. Smettiamo di chiederci come cambiare la globalizzazione, troppo più vasta di noi — conclude allora l’autore. Pensiamo a quale tipo di società sia più adatta a gestire i traumi globali che stiamo vivendo: probabilmente una società meno diseguale.