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 2020  ottobre 21 Mercoledì calendario

L’unità nazionale da ritrovare. Il punto di Folli


Il “coprifuoco” è parola che non piace a Salvini, ma quello deciso dalla Regione Lombardia, simbolo del potere della Lega nell’Italia del Nord, cambia gli scenari. Primo, perché è una decisione presa dal presidente Fontana d’intesa con il governo Pd-5S; secondo, perché anticipa una serie di scelte analoghe destinate a moltiplicarsi nell’Italia angosciata dalla seconda ondata, come dimostra il caso della Campania. Vuol dire che viene meno quella velleità di strategia alternativa contro il Covid che nel corso dei mesi l’opposizione ha tentato di accreditare in risposta al governo Conte.
Adesso le chiusure locali, gli orari contingentati, gli isolamenti “mirati” diventano la ragnatela della nuova clausura nazionale (o lockdown che dir si voglia). Certo, si avverte l’assenza di una strategia coerente in grado di abbracciare insieme il governo romano, le Regioni e i Comuni. Non è centralismo ma nemmeno decentramento. Semmai è un procedere alla cieca, tra scontri aspri – come quello dell’altro giorno tra Palazzo Chigi e i sindaci – seguiti da rapide riconciliazioni: perché nessuno vuole prendersi tutta la responsabilità, ma nessuno riesce a scaricarla in toto sull’interlocutore. S’intende, i mesi trascorsi dalla prima ondata sarebbero dovuti servire anche a creare il clima di collaborazione istituzionale su cui ieri ha insistito il presidente della Repubblica.
Ma pare che non si sia fatto granché.
Arrivare impreparati alla crisi d’autunno non è solo questione di strutture sanitarie non realizzate, ma di una cooperazione ai vari livelli politici e amministrativi che è mancata. Non c’è da stupirsi se Mattarella si preoccupa: essendo arrivati a fine ottobre, con le terapie intensive che si popolano quasi come a marzo, risultano incomprensibili le liti tra centro e periferia, tali magari da indurre il capo dello Stato a intervenire con discrezione per sanare la frattura o anche solo per rendersi conto di ciò che accade.
In ogni caso, come si diceva, dopo il “coprifuoco” in Lombardia la Lega – maggior partito di opposizione – non ha una linea distinta dal governo Conte su come fronteggiare l’epidemia. A maggior ragione dopo che il premier ha escluso il ricorso al Mes per ragioni insieme politiche e finanziarie. I consiglieri di Salvini più euroscettici hanno cantato vittoria – e dal loro punto di vista non hanno torto – ma adesso il Carroccio ha meno argomenti per contestare le scelte dell’esecutivo. In altre parole siamo di fronte a una complessiva debolezza.
Sono deboli il governo e il premier, presi alla sprovvista dalla recrudescenza del virus e timorosi di perdere popolarità; lo sono i partiti della maggioranza: i Cinque Stelle alle prese con i loro problemi interni, il Pd rimasto da solo (con Renzi) a chiedere il ricorso al Mes senza riuscire a ottenerlo (del resto, il primo a giudicarlo non necessario è proprio il ministro dell’Economia); infine l’opposizione si trova ad avere poche frecce al suo arco.
I prossimi mesi, tra Covid e crisi economica, si annunciano drammatici. È pensabile che una situazione eccezionale possa essere gestita con mezzi ordinari?
Con un Parlamento a mezzo servizio per via dei contagi, scarsa coesione nazionale, una maggioranza incerta e una complessiva incapacità di prendere decisioni. L’unità nazionale resta un tema tabù, ma ciò nondimeno la sua ombra si allunga su un dibattito pubblico sterile e nevrotico. E le circostanze potrebbero imporre scelte che al momento nessuno vorrebbe affrontare.