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 2020  ottobre 21 Mercoledì calendario

Il sodalizio tra Danilo Rea e Mina

«Era il 1985, Massimo Moriconi per qualche motivo non era disponibile e Mina richiese la partecipazione di Giovanni Tommaso. Io ero il suo pianista e mi portò con sé». Così inizia la collaborazione del giovane pianista Danilo Rea (aveva ventott’anni) con la leggendaria cantante, che già da quasi dieci anni si era ritirata da ogni esibizione pubblica. E inizia anche un rapporto che si fa subito più che professionale, basato su complicità e simpatia. «Avevo la sua voce fortissima in cuffia, non riuscivo a concentrarmi e chiesi alla regia di togliermela. Lei naturalmente sentiva tutto, incollò la bocca al microfono e con il tono più sensuale disse “senti... Vai a quel paese” (veramente l’espressione fu più forte). Scoppiammo tutti a ridere, il ghiaccio era rotto».
Da quel momento Rea partecipa a quasi tutti gli album della cantante, anche se per qualche tempo si alterna al suo storico pianista, Renato Sellani: un altro jazzista di primo piano. Come dice Massimilano Pani, figlio di Mina e, da molto tempo, suo arrangiatore e produttore, «mia madre ha sempre amato il jazz, è cresciuta in un periodo in cui l’intera industria del disco si basava sul professionismo ma anche sulla duttilità di questi musicisti, fra i quali c’erano personalità formidabili».
Così, nulla di strano che, nel tempo, si siano sempre più stretti attorno a lei i tre musicisti che ora la omaggiano con lo spettacolo Mina Tre per Una: Rea al pianoforte, Moriconi al basso, Alfredo Golino alla batteria. Un classico trio jazz, ma con la capacità di muoversi attraverso tutti i generi musicali, proprio come quando la affiancano su disco. «Da un certo momento Mina, durante le incisioni, ha riscoperto la dimensione dell’invenzione estemporanea – ricorda il pianista —. Certo è sempre una professionalità assoluta, ma si diverte a cambiare le carte in tavola. E quando le viene un’idea la porta fino in fondo. Certe volte, mentre stiamo registrando, ci dice in cuffia cose impossibili: raddoppiamo il tempo, saliamo di mezzo tono… e noi le andiamo dietro».
Sì, perché i tre accompagnatori hanno un’intesa e una sapienza uniche. È ancora Pani a sottolinearlo: «In Italia abbiamo moltissimi grandi musicisti, soprattutto nel jazz, ma questi tre sono davvero speciali». Anche perché, pur essendo figure di primissimo piano, non mettono mai al primo posto il protagonismo, rimanendo disciplinatissimi «sessionmen». «E ci mancherebbe altro, con una figura come Mina... – è ancora Rea a parlare —. Ma lei, molto spesso, discute il profilo dei brani con noi, oltre che con Massimiliano. È una personalità complessa, ha un’enorme sicurezza in quello che vuole, ma comunica anche una dose di insicurezza, forse per darci lo spazio per dire la nostra».
Il concerto, che coinvolge anche Massimiliano Pani come narratore dei retroscena e delle svolte di una lunghissima carriera, si basa in primo luogo sui primi successi di Mina, quelli degli anni ‘60. «Sì, potrebbe sembrare strano da parte di tre musicisti che hanno partecipato praticamente a tutti i suoi dischi da quarant’anni a questa parte, che quindi conoscono bene questo lungo repertorio. Ma tutti e tre siamo cresciuti ascoltando da bambini le prime canzoni di Mina, e a quelli siamo maggiormente affezionati. Ci permettono di improvvisare con maggiore libertà e soprattutto con maggiore intensità».
Rea, da molti anni, accompagna anche Gino Paoli. Che differenze riscontra fra questi due «pezzi da novanta» della canzone italiana? «Beh, sono due personalità diversissime. Naturalmente Gino non ha le doti vocali di Mina, lei controlla ogni parametro musicale, ogni dettaglio. Lui è un poeta e un attore, cantando è come se recitasse e ogni volta è imprevedibile: i suoi spettacoli si basano interamente sul pathos. Non ho mai chiesto a Mina un parere su Gino, ma so che cosa pensa lui di lei: a prescindere da tutte le sue qualità tecniche, la cosa che lo affascina è la capacità di far suo ogni brano che decide di interpretare, a qualsiasi genere appartenga».