Chiara Gatti, la Repubblica
21 ottobre 2020
Biografia di Lea Vergine
Poche ore hanno separato le morti di Enzo Mari e della sua seconda moglie Lea Vergine, scomparsa ieri a Milano a 82 anni per le complicazioni di quello stesso Covid-19 che li aveva costretti entrambi al ricovero all’ospedale San Raffaele. Si erano conosciuti negli anni Sessanta: entrambi sposati, verranno accusati entrambi di concubinaggio e dovranno lasciare Napoli per trasferirsi a Milano dove si sposeranno nel 1978.
«Un altro pilastro della cultura italiana viene a mancare, ma il suo lavoro nella critica d’arte e nella curatela di innumerevoli mostre lascia un segno profondo»: questo il commento del ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini. Mentre il presidente della Triennale Stefano Boeri sul suo profilo Facebook saluta con un semplice ma sentito «Ciao Lea, Ciao Enzo» e la presidente della Fondazione Donnaregina di Napoli Laura Valente con la direttrice del Madre Kathryn Weir la definiscono «donna all’avanguardia e critica straordinaria, dotata di grande sensibilità e di uno spirito curioso e indomito».
Rigorosa, acuta, a volte arguta («Architetto ha cotto lei gli zucchini? Immangiabili!» cosi aveva freddato le velleità culinarie di un noto industriale milanese del design), a volte dura. Questo era Lea Vergine, al secolo Lea Buoncristiano, nata a Napoli il 5 marzo 1938. Critica d’arte (ha scritto per «il manifesto», il «Corriere della Sera», «Paese Sera», «Domus», «Panorama») e curatrice, ha scandagliato gran parte dei linguaggi visivi contemporanei, puntando con tenacia l’obiettivo sulla funzione (a lungo sottovalutata) delle donne nei fenomeni artistici, apportando un contributo fondamentale sia nell’approccio critico sia nella rivalutazione dell’opera artistica femminile in generale, diventando un modello per un’intera generazione di critici.
Attenta alle espressioni e alle pratiche artistiche anche più eccentriche e più lontane dal mainstream curatoriale, Lea Vergine ha sempre dimostrato un’incredibile capacità di comprensione delle arti nella loro evoluzione come testimonia una delle ultime mostre da lei curate, Un altro tempo. Dal Decadentismo al Modern Style al Mart di Rovereto (2012).
Nel suo saggio Il corpo come linguaggio (Prearo, 1974) ha così analizzato la nascita e l’evoluzione della body art mentre ne L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche (Mazzotta, 1980) ha finalmente imposto una lettura al femminile della sperimentazione artistica. Ma molteplici sono stati i temi affrontati nei suoi saggi: Attraverso l’Arte/Pratica Politica (Arcana, 1976); L’arte ritrovata (Rizzoli, 1982); L’arte in gioco (Garzanti, 1988); Gli ultimi eccentrici (Rizzoli, 1990); L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1969-1990 (Skira, 1996); Ininterrotti transiti (Rizzoli, 2001); Quando i rifiuti diventano arte. Trash rubbish mongo (Skira, 2006); Parole sull’arte 1965-2007 (il Saggiatore, 2008); La vita, forse l’arte (Archinto, 2014); L’arte non è faccenda di persone perbene (Rizzoli, 2016) scritto in collaborazione con Chiara Gatti.
Fino a Necessario è solo il superfluo (Postmediabook, 2019, a cura di Stefania Gaudiosi), libro scaturito da una lunga intervista per «Artribune» in cui Lea Vergine aveva definito la propria filosofia: «L’arte non è necessaria. È il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non si può utilizzarla, l’arte, nella vita. Arte e vita sì, nel senso che ti ci dedichi a quella cosa, ma non è che l’arte ti possa aiutare. È un rifugio, una difesa. In questo senso è come una benzodiazepina».
Stefano Bucci, Corriere della Sera
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Chiara Gatti, la Repubblica