Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  ottobre 21 Mercoledì calendario

0QQAN40 QQAN66 Gli italiani e la spagnola (negli Usa)

0QQAN40
QQAN66

«In uno studio del 1920 su quanto era successo nello Stato americano del Connecticut si legge che “le persone di razza italiana hanno contribuito per quasi il doppio del normale al tasso di mortalità dello Stato durante il periodo dell’epidemia”». Lo scrive la giornalista scientifica Laura Spinney, collaboratrice tra l’altro di Nature, del National Geographic e dell’Economist, nel saggio 1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo, un reportage che ripercorre da un capo all’altro del mondo la storia dell’ecatombe influenzale di un secolo fa. Certo, anche allora se ne andarono giovani e vecchi, ricchi e miserabili, famosi e sconosciuti. Più ancora di oggi, però, annota l’autrice del volume, pesò sulla mortalità anche se non soprattutto la condizione sociale. E i nostri nonni, allora, appartenevano alla fascia dei «nuovi arrivati»: «Gli italiani, come sappiamo, erano il gruppo di più recente immigrazione in America e, in effetti, gli abitanti del Connecticut di origine italiana avevano una probabilità di morire più alta. Qual era il motivo di queste disuguaglianze? A volte dipendeva semplicemente dalle disparità di ricchezza, posizione sociale e – quando era un riflesso delle prime due – colore della pelle. Gli eugenisti puntavano il dito contro l’inferiorità costituzionale delle razze «degenerate», la cui mancanza di vigore faceva sì che gravitassero intorno a edifici squallidi e favelas, dove erano colpiti dalle malattie alle quali erano naturalmente inclini (in altre parole, sostenevano che gli italiani si ammalavano di più in quanto italiani). In realtà a indebolire gli immigrati e le minoranze etniche erano la dieta inadeguata, il sovraffollamento e la difficoltà ad accedere alle cure mediche». Abbiamo rimosso tutto. Quasi che quella nostra storia fosse una vergogna da cancellare. Basti ricordare come la grande Amy Bernardy descrisse nel 1913 ne L’Italia randagia attraverso gli Stati Uniti, un agglomerato abitato dei nostri nonni nel distretto di St. Louis e marcato da una «fila delle latrine, da mucchi di cenere, concime, immondizia, dai cadaveri dei sorci e talpe frequentissimi, da cenci, detriti, rifiuti, penne di polli, vecchi arnesi, avanzi di materassi sporchi...» Troppi americani ricchi ci vedevano come portatori di pestilenze. Eravamo poverissimi.