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 2020  ottobre 21 Mercoledì calendario

Elogio dell’alcol nel film "Druk"

C’è dell’alcool in Danimarca: Thomas Vinterberg e Mads Mikkelsen offrono Un altro giro, alla Festa del Cinema di Roma e prossimamente in sala con Movies Inspired. Druk, titolo originale, ha appena vinto il London Film Festival, sta incassando in patria e in Francia, si farà strada fino agli Oscar, e segna uno scarto rispetto alla nostra epoca diversamente proibizionista: con buona pace di astemi, bigotti e ipocriti vari, il consumo d’alcool non vi è demonizzato, al contrario, promosso quale veicolo di realizzazione individuale e interazione sociale.
“È una parte molto importante della nostra cultura occidentale, inutile negarlo: mi sono proposto – dice il regista – alla mia futura moglie con due bicchieri, ho perso mio padre per alcoolismo, quella del film è la terza storia. E non ho sentito obblighi morali nel raccontarla”. A tenere il gomito alzato è Mikkelsen, ancora con Vinterberg dopo The Hunt, cui tocca sperimentare l’invero bizzarra teoria dello psicologo norvegese Finn Skårderud, secondo la quale colmando la nostra congenita mancanza d’alcool (-0,5%) non potremo che trarne beneficio: i compagni di libagioni, affidati ai sodali Thomas Bo Larsen, Magnus Millang, Lars Ranthe, sono come lui sconfitti o pareggiati in casa dalla vita, tutti professori di liceo orfani di attimi fuggenti e attenzioni degli studenti. C’è chi vi lascerà le penne, ma Vinterberg non sta a rimuginare sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, serve la seconda possibilità: Mads e accoliti si riscopriranno popolari, piacevoli e piacenti, traendosi d’impaccio dalle secche esistenziali, i matrimoni sbiancati, gli entusiasmi sopiti. “Ci vogliono ‘il Paese più felice al mondo’, siamo amichevoli, razionali, ragionevoli, il senso di comunità è forte, ma un po’ opprimente: beviamo – osserva Vinterberg – per poter perdere il controllo, per affrancarci dall’essere sempre al sicuro, ci imponiamo un rischio perché significa avventura, esplorazione, ispirazione. Sono orgoglioso dei nostri 9,1 litri pro capite di alcool, si beve anche per innamorarsi”.
Mikkelsen, strepitoso, non è da meno: ci mette a parte dei suoi gusti al bancone, birra e mojito, e sullo schermo per suffragare le proprie tesi tira in ballo illustri beoni, quali Winston Churchill. A bocca asciutta, si chiede, avrebbe piegato il Terzo Reich? Girato con apprezzabile leggerezza, se non ebbrezza, il dramedy ci fa ubriacare di ottimismo, autodiagnosticandosi la sindrome di Peter Pan, confidando nella remuntada, predicando un cameratismo ad alta gradazione. Una notte da leoni in cui il risveglio da coglioni non è eluso, una sceneggiatura che trasforma il doman non v’è certezza in bicchiere della staffa, lavorando sull’empatia, sul corpo di Mads prima afflitto e poi ballerino. E non crediate, la denominazione d’origine controllata non esclude nessuno: “In superficie – conclude Mikkelsen – sembrerebbero problemi solo danesi, ma pensate davvero che due bicchieri di vino sul set di Fellini non ci fossero, che Vivaldi non si facesse un goccetto?”. Nunc est bibendum.