il Fatto Quotidiano, 20 ottobre 2020
7QQAFA10 Quanti medici in letteratura
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Tra le superstizioni della vecchia Russia c’era quella di inserire una zolletta di zucchero nella vagina delle partorienti per attirare il bambino fuori dall’utero. Una credenza innocua e meno disgustosa dell’intruglio a base di capelli, destinato allo stesso scopo ma da ingerire. Ne parla Bulgakov in Memorie di un giovane medico, raccolta di racconti edita da Neri Pozza con una nuova traduzione di Serena Prina, apparsa per la prima volta in Urss nel 1963, quando è iniziata la rinascita postuma di un autore amato da Stalin ma non al punto da permettergli di continuare a pubblicare.
Fresco di laurea in Medicina, nel 1916 Bulgakov viene mandato allo sbaraglio in uno sperduto villaggio dove si trova a dover effettuare interventi che nella migliore delle ipotesi ha visto soltanto praticare in università. Ciascun caso è il tema di uno dei testi: l’amputazione di una gamba a una giovane dalle bionde trecce, la tracheotomia di una bambina difterica e diversi “rivolgimenti” di feti poco inclini a venire al mondo per via della posizione trasversale e nonostante zolletta.
Il racconto più bello si intitola V’juga, La tormenta. Come al solito il giovane medico sta per riposarsi e farsi un bagno caldo quando bussano alla porta con urgenza. La tempesta infuria e nasconde le strade ma bisogna andare. La bella figlia dell’agronomo è caduta dalla slitta e ha picchiato la testa durante le nozze. Il marito è pazzo dal dolore: era lui a condurre i cavalli e non può concepire di restare vedovo dopo avere fatto di tutto per conquistarla. La notte e la morte incombono sulla casa sprofondata nella neve. Il dottor Bomgard, alter ego autobiografico dell’autore, non può far niente a parte addormentare con un’iniezione il vedovo e andarsene a costo di perdersi nella tormenta. Ci sono perfino i lupi a minacciare il viaggio, ma alla fine delle disavventure il medico trova sempre un rifugio di luce e razionalità simboleggiato dal miraggio di un ospedale in città.
Il modello di Bulgakov sembra per molti aspetti essere il Cechov del racconto La corsia n. 6. È la storia di un medico che lavora in un manicomio nella profonda provincia russa e sente la mancanza della società intellettuale, come un paziente con cui conversa così a lungo da essere internato pure lui. Ma La corsia n. 6 è un’opera di livello altissimo della maturità cechoviana che per qualità si potrebbe accostare ad altri lavori di Bulgakov più che a queste memorie. Cechov stesso, come il protagonista del suo racconto, era medico per forza più che per vocazione.
In Italia, molto prima di Andrea Vitali, medico malgrado le aspirazioni letterarie è stato Carlo Levi, almeno durante l’esilio in Lucania. Come racconta in Cristo si è fermato a Eboli, durante il confino viene costretto a esercitare e preso d’assalto da un’umanità non meno atavica e lontana dai lumi della ragione e della scienza di quella che bussava alla posta di Bomgard. Il contrasto tra pensiero magico e ragione, tipico dei racconti medici, ha trovato un punto di convergenza apparente nella vita di un altro dottore diventato scrittore, Arthur Conan-Doyle, da un lato dedito allo spiritismo e dall’altro creatore di un personaggio logico-deduttivo come Sherlock Holmes. Le derive del positivismo ottocentesco vedevano nel potenziamento dei poteri mentali la possibilità di superare le barriere tra la vita e la morte senza sentirsi in contraddizione con le convinzioni scientifiche dell’epoca e così Conan-Doyle non si sentiva a disagio nel dichiarare di credere alle fate e di avere evocato in una seduta il fantasma di Dickens. Figlia di un medico, Letizia Muratori apre la raccolta di racconti intitolata Spifferi (La nave di Teseo) con un testo, Rispondi a Dimitri, in cui le certezze del razionale si infrangono nel tentativo di capire chi si nasconde dietro la voce di un misterioso ex paziente che vive nel quartiere Trieste di Roma e da anni telefona al dottore in cerca di compagnia. Il dottore non sapeva come liberarsene e si era rassegnato ad ascoltarne i monologhi, ma la figlia voleva liberarsi di quel tormento come di un vecchio mobile inutile e ingombrante.
Altro scrittore medico è Céline, la cui deriva antisemita si deve anche a vicende personali, come la sua sostituzione nel dispensario di Clichy con un collega ebreo. Bulgakov deplora invece l’antisemitismo di Petljura tanto da sublimare l’odio per i nazionalisti ucraini in un omicidio letterario: il medico protagonista di Io ho ucciso – l’ultimo dei racconti della raccolta – spara al capo del gruppo di combattenti che lo ha costretto a mettersi al suo servizio, mentre infuria la guerra civile in una città stravolta e piena di cadaveri. La tempesta meteorologica lascia il posto a quella di piombo e sembra finire con la vittoria dei rossi che invece condannerà Bulgakov a lavorare per l’aldilà letterario.