Avvenire, 20 ottobre 2020
Lo strano fenomeno delle società zombie
Il Covid-19 non ha determinato solo una profonda recessione nelle economie di tutto il pianeta, da quelli industrializzati a quelli in via di sviluppo, sicuramente più colpiti dei primi. Un’altra minaccia, non meno grave, si presenta infatti all’orizzonte del post-pandemia e riguarda il proliferare delle società zombie, aggettivo che prende il nome dai “morti viventi” di tanti film dell’orrore. Con zombie firms si fa riferimento ad imprese con oltre dieci anni di età e che da tre anni o più non riescono nemmeno a ripagare gli interessi sul debito. Sarebbero tecnicamente fallite, ma vengono tenute in piedi per volontà dello Stato o, più spesso, delle stesse banche creditrici che, in caso di fallimento, dovrebbero iscrivere a bilancio la perdita, con ovvi riflessi sul loro stato patrimoniale, e quindi preferiscono continuare a prestare. Nel 1990 un fenomeno simile accadde in Giappone quando gli istituti di credito, che avevano finanziato società da tempo decotte, non vollero mettere nero su bianco il loro passivo. E così il Sol Levante perse quasi un decennio di sviluppo economico.
Oggi nelle economie avanzate le zombie firms si stanno moltiplicando grazie agli aiuti pubblici a pioggia distribuiti per far fronte alla pandemia. Queste aziende, però, non solo non apportano alcun contributo all’economia di un paese, ma anzi determinano a essa un danno in quanto comportano un’errata allocazione di risorse che potrebbero essere destinate a start-up innovative e produttive.
La sopravvivenza di queste società in Europa è stata garantita dalla prolungata politica monetaria espansiva della Banca Centrale Europea, caratterizzata da tassi di interesse vicini allo zero che hanno consentito anche ad aziende prossime al fallimento di prendere denaro a prestito dalle banche senza incorrere in insostenibili costi per ripagare i debiti contratti. Basti pensare che secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali la percentuale di aziende quotate dei paesi industrializzati con bassa capitalizzazione e i cui utili non bastano a pagare gli interessi sui loro debiti è cresciuta dal 4% della metà degli anni ottanta al 15% del 2017, un livello che non si vedeva dalla crisi finanziaria globale del 2008. E per l’Ocse la produttività italiana e spagnola sarebbe più alta dell’1% se non fosse compromessa, appunto, dalle zombie firms. Bank of America Merrill Lynch stima che ci siano già 548 di questi zombie nel club Ocse dei Paesi più ricchi, rispetto a un picco di 626 società al momento dello scoppio della crisi di oltre un decennio fa.
I numeri sono saliti soprattutto tra le piccole e medie imprese statunitensi, in Europa e in particolare nel Regno Unito. Le società di beni di consumo di base presenti nelle vie commerciali britanniche, sommerse dai debiti, falliscono sempre più spesso ed è probabile che le conseguenze economiche della Brexit indurranno un numero ancora maggiore di società a entrare in crisi, sulla scia del tour operator Thomas Cook. Le aziende hanno risposto a questo contesto riequilibrando le loro fonti di finanziamento. Da nessuna parte ciò è più evidente come negli Stati Uniti, dove dal 2009 le società si sono indebitate per oltre 3.100 miliardi di dollari attraverso titoli di debito e mutui, riacquistando 4.000 miliardi di azioni, secondi i dati della Fed.
In molti film sui morti viventi, gli zombie fanno una brutta fine. Anche molte società potrebbero andare incontro a una morte orribile se i margini di profitto venissero ulteriormente compressi a causa di un conflitto commerciale e di un rallentamento generale dell’economia globale. Nel postpandemia soprattutto a livello europeo bisognerà quindi evitare fenomeni di moral hazard e cioè che imprese già vicine al fallimento (le zombie firms appunto) ne approfittino per ricevere sussidi pubblici. L’Università di Venezia ha suggerito come un indicatore oggettivo per tali aiuti potrebbe essere il pagamento dell’Iva dell’anno precedente in quanto in questo modo si andrebbe ad evitare il finanziamento di zombie firms e anche di imprese che nel passato poco hanno contribuito alle entrate dello Stato magari perché evasori.