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 2020  ottobre 19 Lunedì calendario

Alessandro Gassman e gli immigrati

Le battaglie social per lo ius soli e per i migranti («senza di loro il Paese si ferma») gli hanno fatto appioppare (da Giorgia Meloni) l’etichetta che più detesta: radical chic («la tua umanità radical chic mi lascia senza parole»). Uno stigma contro cui Alessandro Gass-mann insorge: «Sì, mi dà fastidio e parecchio: perché i radical chic non piacciono nemmeno a me! Vorrei precisare che ho comprato un appartamento in Bassa Maremma dopo 37 anni di lavoro, non una villa con piscina e non a Capalbio. Non frequento Capalbio. Lì incontrerei molta gente che mi sta proprio sulle scatole».
Allo stereotipo di ex ragazzo del privilegio, il figlio del grande Vittorio oppone un’adolescenza «da persona normale, tra gente normale», non da ricco e «con fidanzata al Tufello» (che lui, romano del quartiere Trieste, doveva percepire negli anni Ottanta ancora borgata pasoliniana), e un presente da normalissimo padre di famiglia che va «a fare la spesa».
I migranti sono (con le periferie, urbane e umane) un filo lungo che si tira dietro nell’impegno pubblico e nella carriera da attore. E che ora ha dipanato con «Io ti cercherò», la coproduzione di Rai Fiction e Publispei in onda nei quattro lunedì di ottobre, nella quale è un papà che, dopo la morte del figlio, ne scopre la vita da eroe senza gloria, spesa ad aiutare comunità di profughi africani, battendosi accanto a loro per una casa popolare, contro il racket del litorale romano (l’ombra lunga degli Spada su piazza Gasparri è abbastanza evidente). Dal vecchio «Pummarò» di Michele Placido (contemporaneo all’omicidio di Jerry Masslo nei campi di pomodoro di Villa Literno) a «Lamerica» di Gianni Amelio sull’esodo degli albanesi, fino a oggi, il cinema ha accompagnato e spesso anticipato timori e ubbie, miserie e nobiltà del nostro rapporto con chi arriva dall’altra parte del mare. Ed è sempre più così.
Per la fiction Gassmann ha passato tre mesi e mezzo a girare nella Roma dei ghetti, «Prenestino e Ostia, nelle strade dei tossici, tra topi e sentieri sterrati, abbandono e disperazione, dove lo Stato non c’è… c’era invece un capitone, sì, un capitone che a un certo punto è spuntato da un buco nel muro, scappato da un allevamento, ci hanno detto! Se vivessi lì sarei molto incavolato anch’io e per difendere la mia famiglia comincerei anche a fare cose… non condivisibili».
Vivo da persona normale, sono un papà che fa la spesa. E non frequento Capalbio...
Ultimi contro penultimi. È la bomba sociale delle nostre periferie, innescata anche dall’impatto dei migranti: centinaia di migliaia di irregolari a spasso per l’Italia non ne accrescono certamente la sicurezza. Lui lo ammette ma subito contrattacca: «La cattiva accoglienza pesa tantissimo, ma non c’è nessuna invasione. E non dobbiamo fare l’errore della Francia con le banlieue, non dobbiamo spostare la polvere sotto i tappeti», dice, alludendo alla tendenza (di tutti i governi da trent’anni a oggi) di trasformare in discariche sociali i quartieri disagiati delle metropoli e al pericolo di chiudere gli stranieri dentro enclave di rabbia e rancore: «Devi dare ai loro figli un senso di accoglienza migliore, le seconde generazioni possono aiutarci, sentendosi italiane. Noi abbiamo in vigore norme razziste». Dividere i ragazzi nati e cresciuti da noi tra italiani e no, in effetti, rappresenta un pericolo di disgregazione sociale. È il tema eterno dello ius soli, una croce per la sinistra e per il Pd, che abbandonò il progetto di riforma della cittadinanza al Senato durante la scorsa legislatura, nel dicembre 2017, per timore di perdere elezioni che poi perse comunque in malo modo pochi mesi dopo.
«Ma la sinistra non c’è più in questo Paese! Il Pd non lo considero un partito di sinistra: è di centro. Ci sono persone che stimo, ma non lo voterei. Mi piace molto Ely Schlein, colta e preparata, però conta come il due di picche, purtroppo. Vorrei che fosse la leader del Pd, vedresti quanti voti recupererebbe. Io nascerei socialista, pensa come sto messo male… Ci fossero i Verdi come nel resto d’Europa non avrei dubbi, ma i Verdi in Italia hanno sempre preso una deriva gruppettara, litigano di continuo tra loro. Mi sono chiesto tante volte perché, non ho mai trovato una risposta», spiega Gassmann che, testimonial di Amnesty e ambasciatore di buona volontà dell’Unhcr, con il suo #GreenHeroes («non un partito politico») supporta via Twitter cittadini, aziende, comunità «che fanno cose ecosostenibili» (la sfida ecologista sembra coinvolgerlo almeno quanto le migrazioni). «I Cinque Stelle», dice, «almeno all’inizio avevano una base ambientalista molto evidente, ma poi l’hanno persa per strada». Se per la Meloni, che pure l’ha punzecchiato, mostra rispetto («non condivido nulla di ciò che dice ma le riconosco coerenza, presto sarà lei la leader del centrodestra»), la sua bestia nera era e rimane Matteo Salvini, «un personaggio generato dalla confusione di questi tempi». L’avversione deriva ovviamente (anche) dai decreti Sicurezza, «una legge vergognosa», che tuttavia la sinistra al governo ha solo ritoccato: «Non li hanno cambiati davvero, cambiarli avrebbe dato il “la” nella soluzione del problema dell’accoglienza».
L’Italia di Salvini e della «fine della pacchia» per gli immigrati, quella nella quale il maliano Soumaila Sacko viene ammazzato a fucilate in Calabria nell’indifferenza generale, appare lontana anni luce dal Paese che nel 1989 si mobilitò dopo l’omicidio Masslo con esequie solenni in diretta tv. Siamo cambiati più di quanto raccontino i film: in peggio. «Sì, gli italiani dicono cose aggressive. Però non me la prendo con chi ha reazioni di paura quanto con chi fa disinformazione. Gli italiani restano più accoglienti di molti altri popoli. Pensi a quanto volontariato c’è. Sono cittadino del mondo, ho tre o quattro… sangui diversi nelle vene, posso garantirglielo». Se non un lieto fine, forse una promessa.