Sono passati sette mesi da quando Repubblica mi chiese di buttar giù un "alfabeto emotivo del contagio". Eravamo ai nastri di partenza della pandemia, il lockdown era appena cominciato e in mezzo ai bollettini ferali di contagiati e deceduti, pensammo di dedicare uno sguardo agli stati d’animo, scossi e impauriti, di un paese che si trovava avamposto occidentale della guerra al virus. Da allora è accaduto di tutto, l’emergenza è esplosa a livello mondiale, e oggi, più o meno duecento giorni dopo, facciamo i conti con la temuta seconda ondata. Eccoci allora necessariamente a riscrivere l’alfabeto, perché tutto è cambiato nel modo di vedere, di vivere e ahimè di ri-vivere.
A come Assedio
Dove sta la differenza fra attacco e assedio? Il primo è spesso improvviso, gioca sul fattore sorpresa, ti coglie sguarnito e impreparato, punta tutto proprio sul frastornamento della vittima. Diverso se non opposto è l’assedio, che ti logora sulla lunga durata, mette alla prova la resistenza e la capacità di distribuire le risorse di ogni tipo, comprese quelle emotive. A marzo il Covid ci attaccava, adesso è un assedio.
B come Baratro
Travolti da un nemico inaspettato e folgorante, immolammo la primavera 2020 sull’altare di un sacrificio cruento, come offrire una creatura innocente al sanguinario dio Baal, pur di rabbonirne l’ira. Ma in questo autunno che si annuncia feroce, la prospettiva economica non è più quella di un singolo olocausto, bensì di un genocidio. Cos’altro ci chiede, ora, l’implacabile dio Covid, per lasciarci in pace? Di sprofondare tutti nel baratro di un Pil a -80?
C come Clemenza
È noto che nelle arene romane il momento di suprema suspance scattava quando il gladiatore chiedeva all’imperatore se uccidere o no l’avversario sconfitto. Pollice recto o verso? In genere la clemenza voleva che si risparmiasse la vita del perdente evitandogli il colpo di grazia, scelta che il pubblico apprezzava. La sensazione diffusa è un po’ questa: il virus ci ha già calpestati, prostrati e umiliati, ha distrutto l’economia, disseminato di cadaveri il pianeta… che bisogno c’è di infliggerci adesso la mazzata finale?
D come Distanziamento
Niente sarà più come prima. Basta guardare un film di due anni fa per rendercene conto, un abbraccio ci sembra un gesto criminale, una stretta di mano ci fa rabbrividire, una tavolata di amici è una chiara provocazione da negazionisti. A marzo l’idea di stare a un metro di distanza da chiunque ci appariva misura momentanea, da ricordare ai posteri in un selfie coi gomiti elevati, ma oggi la distanza ci è scesa nell’anima come condizione mentale. E dopo i mesi che ci aspettano, tornare a una carezza sarà un’impresa.
E come Exit
I segnali verdi luminosi con l’omino che esce riempiono centri commerciali, scuole, autogrill e qualsiasi luogo pubblico: siamo abituati a dare per scontata non solo l’esistenza di un’uscita, ma la sua estrema accessibilità, facilitata dal cosiddetto maniglione antipanico. Stavolta però non ci sono segnalazioni chiare, tutto tace, l’uscita è chissà dove e per la prima volta riscopriamo il panico antico del labirinto.
F come Fiducia
Prima del virus eravamo abituati ad affidarci a qualcuno, che fosse un leader, un campione, un guru. L’esperienza della pandemia ha dimostrato in modo spietato la fragilità dell’autorità umana, tutti hanno sbagliato calcoli, misure, analisi, per cui oggi ci troviamo a riporre fiducia non più in qualcuno ma in qualcosa: la primavera che verrà fra 5 mesi, l’immunità di gregge, l’indebolirsi genetico del virus. Perfino la fiducia nel vaccino comincia ad appannarsi, minata da un senso vago di inattendibilità. E comunque, semmai, quella è una speranza, ben diversa dalla fiducia.
G come Guado
Secoli fa l’esperienza di guadare un corso d’acqua era comunissima, semplicemente perché la rete di strade e ponti era molto meno fitta. Oggi viviamo nell’era della comodità, e per ogni fiume ci aspettiamo ci sia un viadotto a portata di mano. Peccato stavolta non sia così, e se a marzo ci sembrava di dover superare un torrente, per quanto impetuoso, adesso realizziamo che siamo a mollo dentro il Mississippi. E Dio com’è lontana la riva.
H come Hardware
La sensazione, dopo mesi e mesi di convivenza col virus, è che il nostro computer, dopo tanti aggiornamenti di software, sia stato infine intaccato nell’hardware. Non ce la caviamo con un cambio superficiale di visione del mondo, è evidente che siamo a un crocevia epocale, e nessuno schema rimarrà intatto. Resettare e riavviare da zero.
I come Inflazionamento
Piaccia o no, a marzo il Covid era percepito come un vortice di novità. Terribile, drastico e letale, ma comunque ammantato di quel fascino sinistro che hanno le incognite improvvise, tutte da esplorare. Sette mesi dopo, la novità si è fatta assuefazione: abbiamo letto migliaia di articoli sul virus, abbiamo seguito ore e ore di servizi televisivi, perfino nelle conversazioni domestiche ci sembra di non parlar d’altro. Uffa però questo Covid. Anche basta.
L come Limite
I film come Godzilla hanno il loro punto di forza nel mostrarti il proverbiale elefante nella cristalleria. Cosa accade se un bestione irrazionale di sessanta metri spadroneggia fra aiuole e semafori? Né più né meno è la rovina, perché egli non percepisce il limite del lecito. Solo che in genere Godzilla resiste al massimo un paio di giorni prima d’esser fatto fuori dagli eroi di turno. Cosa sarebbe mai averlo in città per oltre un anno? Sostituite a Godzilla il Covid, e il risultato è analogo.
M come Miseria
La povertà è una condizione economica ma non morale, si può essere poveri nel portafogli ma ricchi d’animo. La miseria, viceversa, è ben più grave, essendo uno stato di pochezza generalizzata e squallida. In questo autunno in cui si minaccia una nuova sciabolata al mondo del lavoro, il vero rischio è la regressione di tanti alla miseria, inevitabile anticamera dello scontro sociale.
N come Natale
Abbiamo accettato di trascorrere Pasqua agli arresti domiciliari, erano gli sgoccioli finali del lockdown, si prospettava dopo pochi giorni l’assolata landa della riapertura. Ma Natale? Intollerabile l’idea di passarlo da soli accanto al presepe, con nonni e zii collegati su Zoom. Natale non è solo una festa e un business, è al tempo stesso una cartina di tornasole (temutissima) e un tagliando di manutenzione (necessario) degli equilibri affettivi. Attenzione, maneggiare con cura.
O come Oggettività
È dura quando non sei lucido, quando ogni attimo senti di sbandare. È un po’ il mood di questo mese di ottobre, con i numeri che si susseguono a mitraglia e per ironia della sorte, pur essendo l’aritmetica una scienza esatta, non sai mai cosa vogliano dire: quali sono le cifre che contano? I decessi? I contagi? Le terapie intensive? Sì? No? In parte? Insomma, visto che siamo appesi ai numeri, ci insegnino una buona volta come leggerli, oggettivamente.
P come Proiezione
All’inizio del 2020 credevamo ancora nelle previsioni. Ci sembrava possibile che esattamente come avviene per il meteo, potessimo sapere prima se una perturbazione oscurerà il nostro cielo. Eccoci qua, pochi mesi prima di San Silvestro 2020, a fare i conti con il crollo di ogni previsione, sostituita dalla proiezione. Siamo diventati miopi, il futuro ci sfugge, non riusciamo più a intuirlo. Accontentarsi delle ipotesi. E comunque boh, e comunque chissà.
Q come Qualità
Da mesi impazziamo dietro grafici e statistiche, tanto da ingenerare l’equivoco che il virus (e con lui la nostra vita, che ne dipende in modo ormai inscindibile) abbia solo una dimensione quantitativa. Ma sul piano della qualità? Che Italia siamo, adesso, al di là dei responsi numerici? Si parla di una crescita esponenziale di patologie psichiche: finirà che chi non contrae il virus farà i conti con una sindrome post traumatica da stress? E se ne fossimo già affetti tutti?
R come Rimorso
Inutile negarlo, fa parte del quadro. A maggio, finito il lockdown, sembrava ci potessimo riappropriare di una socialità perduta. Ma fu un processo graduale, stentato, inevitabilmente adombrato da quella valanga di morti ammassata in pochi mesi. Poi il cambio di marcia, con un’estate spesso vissuta all’insegna del risarcimento e della compensazione, quasi si potesse riscattare con gli interessi tutto ciò che si era perduto in primavera. E adesso che siamo un po’ punto e a capo, viene spontaneo sussurrarsi «se tornassimo indietro, forse…».
S come Spudoratezza
Ogni emergenza toglie gli ammortizzatori e le mezze misure. A differenza di marzo, quando ancora eravamo agli albori, oggi è regolare sentire frasi agghiaccianti come «rischiamo tutti o solo le Rsa?», «i morti Covid sono morti veri o gente già mezza nella bara? ». Insomma, se il politically correct era in crisi, dopo la pandemia lo rimpiangeremo. Personalmente, lo rimpiango già ora.
T come Tornare
I viaggi di ritorno sono in genere tristi. Al netto di chi vive in stabile nostalgia della tana, si può dire che l’ebbrezza è quella dell’andata, il rientro sa sempre di routine e di replica. Figuriamoci adesso, con questa fase climatica di piogge accanite e freddo da stufa esasperata da un costante allarme sanitario. Siamo tornati in città, a scuola, al lavoro? No, peggio: siamo tornati indietro di sette mesi. Rivivere tutto? È un dejà-vu?
U come Unità
Nelle emergenze occorre solidarietà, è fin troppo ovvio. Viceversa, mai come adesso si tende a erigere pareti divisorie fra generazioni e fasce sociali: "i giovani", "i nonni", "i bambini" vengono trattati come blocchi a se stanti, scordando che poi (quanto mai in Italia) il nonno si occupa dei bambini all’uscita di scuola e i giovani fanno gli infermieri nelle Rsa. È un altro esempio di come vi sia un asimmetria fra analisi e realtà. Di tutti, è l’aspetto che più mi inquieta.
V come Vietato Vivere
Ma alla fine cosa abbiamo fatto di male per non poter più vivere? Perché di questo infine si tratta. Rinunciare all’affettività, alla compagnia, alla socialità condivisa. Questo cos’è se non il nucleo essenziale del vivere? Eppure la seconda ondata aumenta la percezione di tutto questo come pratica a rischio, da evitare. E starci dentro è dura, durissima.
Z come Zorro
Dopo tanti eroi mascherati in campo contro nemici in carne e ossa, ci vorrebbe adesso un eroe in mascherina contro l’avversario isolato al microscopio. Siamo però nel paese che ha investito in ricerca gli avanzi degli avanzi, sottopaghiamo chi sta in laboratorio e magari non gli rinnoviamo le borse di studio, per cui al momento del bisogno Zorro è irreperibile. Impossibile non fare autocritica. Una volta tanto.