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 2020  ottobre 19 Lunedì calendario

Questo virus non è come la spagnola

Era inevitabile che la crescita verticale dei contagi facesse rientrare in scena il confronto tra Covid-19 e Spagnola, che - com’è ormai noto anche a chi non ha dimestichezza con la storia di epidemie&pandemie - conobbe tre distinte ondate, la seconda delle quali, in un autunno come questo di 102 anni fa, colpì 500 milioni di persone nel mondo, uccidendone 20-50 milioni.
Lanciarsi temerariamente – come sta avvenendo sempre più spesso nella narrativa mediatica - in domande ad effetto circa la possibilità che la seconda ondata di Covid-19 sarà peggiore della prima, chiamando in causa la pandemia influenzale del 1918, non è solo profondamente "sbagliato", su diversi piani. Contribuisce anche a dare corpo a un tuono informativo capace di originare confusione e paura. La seconda ondata della Spagnola fu "peggiore" della prima perché accadde qualcosa di imprevisto: una mutazione del virus che si ricombinò con quello di un’influenza degli uccelli nelle speciali condizioni create dalla guerra. A questo evento sono dovute le perdite catastrofiche della seconda ondata, il «più grande olocausto medico di sempre», ha scritto qualcuno. Senza voler ricostruire qui l’andamento delle tre "ondate" della Spagnola, evocate di continuo, basterà ricordare che la prima si diffuse nel marzo 1918 in modo non uniforme negli Stati Uniti, in Europa e forse in Asia nei mesi successivi. Nella maggior parte dei Paesi, aveva tassi di mortalità non sensibilmente superiori al normale. Passata quella che i medici italiani, per niente preoccupati, ritenevano una comune influenza, arrivò il ceppo mutato del virus, una sorta di bomba di Hiroshima, biologica, sganciata nel cuore dell’estate nelle trincee francesi del Nord-Passo di Calais, dove erano addensati centinaia di migliaia di soldati. Il "salto di qualità" del resto, era ben chiaro - pur nel vuoto di conoscenze che circondava il virus - ai contemporanei più avvertiti e non solo a medici e clinici. L ’economista e statistico Giorgio Mortara scriverà, a posteriori: «Alla fine di luglio, e più in agosto, si disegna minacciosa una nuova ascesa di morbosità e di mortalità, che prosegue nel settembre e culmina nell’ottobre. Questa seconda fase si distingueva nettamente dalla prima per la forma morbosa». Se le somiglianze cliniche portavano gli osservatori contemporanei a pensare che si trovassero di fronte alla stessa malattia - dato che le forme più lievi erano identiche e tipiche dell’influenza "ordinaria" - non sfuggiva una sostanziale differenza, e cioè la frequenza molto più alta di casi complicati, gravi e infausti.
Questa seconda ondata si diffuse a livello globale da settembre a novembre 1918 e fu terrificante anche per il concorrere di altri fattori: lo stato della medicina e della sanità pubblica, la mancanza di terapie. Non esistevano i ventilatori per aiutare le persone a respirare. L’uso di dispositivi di protezione individuale da parte di medici, infermieri e assistenti era rudimentale, a giudicare dalle immagini di cui disponiamo. Non c’erano antibiotici. La stragrande maggioranza dei pazienti moriva in seguito a infezioni batteriche opportunistiche, favorite anche dalla debilitazione e dalla sottoalimentazione.
Che dire? Avventurarsi in un’analisi comparativa delle due pandemie è perlomeno azzardato. Covid-19 è causata da un coronavirus, diverso dai virus influenzali, come H1N1. Il virus Sars- Cov-2 non ha cambiato "fisionomia" , non si è ricombinato con virus della stessa famiglia presenti in serbatoi animali, è il medesimo che abbiamo visto all’opera in questa primavera. Non è né più buono, né più cattivo, dicono virologi e infettivologi: il timore che quest’ondata di Covid-19 potrebbe essere peggiore della prima non ha niente a che fare con l’andamento della Spagnola. Siamo di fronte a un rimbalzo dell’epidemia e ad un’escalation dei numeri dei positivi. Cosa che disegna lo scenario di un prevedibile aumento di casi ad elevata gravità clinica, a cui corrisponderebbe l’aumento dei tassi di occupazione dei posti letto ospedalieri (di area critica e non critica) e, inevitabilmente, dei decessi (in particolare in alcune aree e nelle classi di età più elevate). Per porre un argine occorre fare le scelte giuste, anche drastiche, e subito, per far sì che questo annus orribilis, il 2020, non sia ricordato anche come quello delle lezioni non imparate e della resa. I contemporanei dell’apocalittica seconda ondata della Spagnola – a quello stadio della scienza e della medicina, dell’epidemiologia, dei sistemi di salute pubblica - non poterono nulla contro la ferocia e l’aggressività del virus (la cui diffusione, nell’autunno, fu aiutata, anche, dalle «entusiastiche manifestazioni» di popolo per la liberazione di Trento e Trieste, in ogni città e in ogni borgo). Noi, invece, qui e ora, possiamo molto. Abbiamo le armi per combattere il "nostro" temibile, ma meno letale virus, facendo ricorso a interventi e misure che potranno comportare sacrifici e rinunce da parte di tutti noi, anche a costo – come è sempre avvenuto nella storia di grandi emergenze epidemiche - di un temporaneo sacrificio di qualche diritto, ragionevolmente necessario per la tutela della salute collettiva.