il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2020
Fabio Mussi e la malattia. Intervista
Fabio Mussi è stato fiero combattente, con alterne fortune, delle ragioni della sinistra in Italia. Dirigente di peso del suo partito, il Pci e le sue successive trasformazioni fino a quando è nato il Pd, ha avuto la ventura di ammalarsi nel meglio della sua carriera politica.
Lei tirò dritto, eppure la sua salute era periclitante.
Parliamo del 2008. Ero ministro dell’Università quando entrai in ospedale per sottopormi a un doppio trapianto di reni. Non ebbi alcun dubbio a rendere pubblica immediatamente la notizia. Io che avevo in tasca la tessera di donatore di organi mi trovavo nella condizione di riceverli. Non pensai però a dimettermi anche perché il governo era virtualmente in crisi.
Se l’ufficio pubblico è un bene collettivo, le condizioni di salute di chi lo guida dovrebbero riguardare un po’ tutti.
Tocca un punto delicato, perché qui si cammina sulle uova. Esiste un diritto fondamentale che è quello alla libera determinazione di colui a cui è affidata questa decisione, e poi certo bisognerebbe coniugare l’esercizio di questo diritto con il dovere di vederlo destinato al giudizio di chiunque. Se il governo fosse stato nel pieno delle sue funzioni avrei valutato l’ipotesi di dimettermi. Mi faccia aggiungere che l’organo di colui che esercita un potere che andrebbe più tutelato è però il cervello. A volte, e purtroppo, le condizioni stabili di salute non aggiungono molto alla stabilità di certe menti. Penso a Trump.
Gli americani fino a ieri indagavano anche la pressione arteriosa dei candidati.
E adesso si ritrovano questo signore che manda all’aria ogni consuetudine. Il suo contagio da Covid è stato illustrato come un fumetto, un cartoon. Lui che fa braccio di ferro. Sono stati sparsi mozziconi di verità su un prato di bugie o di omissioni.
Trump ha bisogno di esibire l’integrità del corpo del capo.
Il valore mistico del corpo, sì. Che poi, come si vede, piega verso la macchietta. Leggendo l’ultimo libro di Scurati su Mussolini, l’essenza del maschio alfa che miete il grano a torso nudo e poi, in privato, si contorce per l’ulcera duodenale che non gli dà tregua, misuriamo l’esatta distanza della realtà da ciò che appare.
Lei è uomo di sinistra. Non le spiace che i valori per cui si è battuto, e parecchie volte ha perduto, adesso siano tornati in auge solo perché è arrivata la pandemia non il sol dell’avvenire.
Alt. Prima cosa: se devo ammettere che spesso ho perso, aggiungo che penso di non aver pensato male per le posizioni che ho assunto. Seconda cosa: il mondo è stato sempre cambiato da grandi pandemie. Suggerisco la lettura di Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond.
Ah, la breve storia degli ultimi tredicimila anni.
Le grandi malattie che scuotono la società costringono a cambiamenti repentini, trasformazioni epocali. E non c’è dubbio che anche questa attuale pandemia sarà motore formidabile verso un altro giorno. Abbiamo del resto già capito come sia indispensabile la mano pubblica, che ieri quasi schernivamo, quanto sia necessaria alla vita delle persone e quanto sia decisiva per le fasce più deboli, più fragili.
La sinistra se ne è accorta suo malgrado.
Che dirle! Le uniche cose di sinistra le leggo nell’enciclica del Papa.
Vede?
Eppure se solo si facesse attenzione a un paragrafetto del Recovery fund, all’annuncio che l’Unione europea progetta di decarbonizzare l’industria entro il 2050 si avrebbe l’esatta misura di quale possibilità abbiamo di trasformare la nostra società e la nostra vita.
L’Ilva andrebbe ad idrogeno.
Solo l’Ilva? E tutti i trasporti? E tutti gli altri apparati industriali? E tutta la nuova tecnologia di cui avremmo necessità? E la ricerca che dovrà sostenere la nuova rete delle conoscenze. Ci sarebbero miliardi di motivi per immaginare la rivoluzione solo tenendo a mente questo impegno. E da solo questo impegno sarebbe capace di assorbire tutte le risorse finanziarie in arrivo.
Lei è tra i soggetti fragili. Ha fatto il vaccino?
Venerdì prossimo. Ho prenotato.