Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  ottobre 18 Domenica calendario

Dal nord della Nigeria si scatenano i jihadisti

Corre lungo il confine nordorientale della Nigeria una delle linee di frattura che attraversano l’Africa. Un continente dove i conflitti hanno assunto una dimensione nuova e complessa. Sono il risultato di un intreccio inestricabile di terrorismo e jihadismo, di scontri interetnici e religiosi, di instabilità politica e diseguaglianze profonde. E anche di molti interessi economici (e non solo). Il tutto aggravato da catastrofici cambiamenti climatici.
C’è Boko Haram lungo questo confine, che i miliziani islamisti spesso ignorano, per esportare i loro attacchi in Niger, Ciad e Camerun. E ci sono milioni di sfollati, in fuga da devastazioni e saccheggi, da violenza e crudeltà. Sono loro – donne e bambini innanzitutto – le principali vittime di una guerra asimmetrica estesa a tutto il Sahel che ha provocato migliaia di morti silenziose, 1,8 milioni di profughi e sfollati e una crisi umanitaria che tocca almeno 20 milioni di persone. Da una decina d’anni, infatti, il nordest della Nigeria ma anche Paesi poverissimi però sostanzialmente pacifici – Burkina Faso, Mali, Niger – sono diventati epicentro di attacchi, come ci ha ricordato anche la vicenda di padre Pierluigi Maccalli e di Nicola Chiacchio, liberati l’8 ottobre in Mali dopo una lunga prigionia per mano dei jihadisti.

È proprio il fenomeno del fondamentalismo islamista il filo conduttore di molte situazioni di conflitto che si verificano in questa parte dell’Africa, ma che si ritrovano anche in Somalia e più recentemente nell’est della Repubblica Democratica del Congo e nella regione di Cabo Delgado nel nord del Mozambico. Terrorismo, e anche altro. Perché ovunque – e certamente nel nord della Nigeria e in tutto il Sahel – la radicalizzazione religiosa (spesso foraggiata e strumentalizzata anche dall’esterno) si intreccia a questioni economiche e politiche, ad attività mafiose o di piccola criminalità, a traffici di merci, droga e persone e a tensioni comunitarie. Insomma, una stratificazione di cause e concause, ma anche di interessi e disinteresse – specialmente della comunità internazionale – che hanno fatto precipitare questa vasta regione in un abisso di violenza senza fine.
Difficile individuare vie d’uscita da questa crisi, sia per la fragilità di governi ed eserciti locali sia per la poca efficacia dell’intervento internazionale. Ma anche perché il fenomeno è complesso e fluido. La galassia del jihadismo in questa parte d’Africa comprende vari gruppi e diverse sigle, talvolta alleati, talvolta rivali. Alcuni continuano a fare riferimento ad Al Qaeda, altri all’Isis. Tutti profittano delle fragilità degli Stati e spesso si alleano a gruppi criminali o di trafficanti. Ma traggono vantaggio pure dai conflitti inter- o intra-comunitari anche per il reclutamento, più o meno forzato, di ragazzini senza prospettive di futuro. Trascinati in un circolo di morte e sofferenza che varca i confini invisibili e sempre più caldi del Sahel.