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 2020  ottobre 18 Domenica calendario

Il problema della spazzatura spaziale

Alle prime ore di venerdì, nel cielo dell’Atlantico meridionale in prossimità dell’Antartide, uno scontro spaziale di dimensioni catastrofiche è stato sfiorato per un soffio. Un rottame di un satellite russo di nome Parus e lo stadio propulsivo di un missile cinese si sono incrociati ad una distanza che i consulenti della Aerospace corporation stimano essere stata di appena 70 metri, a quasi mille chilometri di altezza. I due rifiuti dello spazio del peso complessivo di oltre una tonnellata e mezzo viaggiavano ad una velocità di 52.000 km/h. Se si fossero scontrati, l’impatto avrebbe causato una frammentazione a pioggia, e i detriti schizzati fuori dall’orbita avrebbero potuto colpire altri materiali in volo, tra cui i 2.230 satelliti in circolazione, e la Stazione Spaziale. Esattamente come era stato immaginato in una delle scene più drammatiche del film Gravity, di Alfonso Cuaron. 
SCAMPATO PERICOLO
La conferma dello scampato pericolo è venuta dalla startup di Silicon Valley Leo Labs, la quale dispone di una sua rete di radar per la mappatura orbitale. «Nessun segno di collisione si legge sul tweet dell’agenzia Il detrito CZ-4C R/B è passato sopra un nostro radar. I dati relativi mostrano come ci auguravamo un solo oggetto, senza la presenza di ulteriori frammenti». 
Non è la prima volta che un incidente frontale viene a turbare il vorticoso volo della spazzatura che l’uomo ha riversato nello spazio. Un famoso episodio del passato è stato l’impatto nel febbraio del 2009 tra il satellite di comunicazione Iridium 33, e il defunto satellite militare russo Kosmos 2251. In quell’occasione l’esplosione dei due corpi generò 1800 nuovi frammenti di grandezza sufficiente per essere registrati dalle apparecchiature circolanti nello spazio. 

IL RAPPORTO DELL’ESA
Incidenti di minore portata sono molto più frequenti: l’Agenzia spaziale europea ha pubblicato questa settimana il rapporto annuale: Lo stato dell’ambiente nello spazio, nel quale si legge che negli ultimi due decenni si sono verificati in media dodici impatti l’anno, con una pericolosa tendenza all’aumento. Sempre questa settimana al Congresso internazionale dell’astronautica, un gruppo di studiosi ha divulgato una lista dei cinquanta oggetti abbandonati che destano maggiore preoccupazione. 
In gran parte si tratta di stadi dei missili Zenit di era sovietica, tutti ancora orbitanti a diversa altezza, e tutti capaci di procurare disastri di grandi proporzioni. L’intera massa dei detriti è mappata, almeno per quelli che raggiungono la dimensione superiore ad un centimetro. Sotto questa misura c’è poi un pulviscolo diffuso più difficile da quantificare, ma che cresce a dismisura. 

MILIONI DI FRAMMENTI
Immagini generate dai computer che tengono conto dei 128 milioni di frammenti sotto osservazione, mostrano che il nostro pianeta galleggia nella spazzatura che anni di spensierata avventura spaziale hanno disseminato sopra le nostre teste, e che i detriti sono ormai una presenza ben visibile nello spazio celeste che ci circonda, al punto da formulare una nuova problematica di ecologia spaziale. La velocità di spostamento dipende dalle dimensioni e dal peso, ma la gran parte dei detriti si muovono oltre i 30.000 km/h. La loro presenza rappresenta un problema per future missioni, con i vettori che potrebbero essere colpiti, ma soprattutto per l’integrità dei satelliti, dai quali dipendiamo per funzioni vitali sulla Terra. 
La rotta di collisione venerdì mattina era stata largamente anticipata, e seguita con ansia dai tecnici di tutto il mondo. Per fortuna il fenomeno è prevedibile, ed è ancora possibile correre ai ripari, almeno quando il rapporto tra costi ed effetti lo raccomanda. La traiettoria di volo della Stazione Spaziale ad esempio è stata modificata già tre volte quest’anno per evitare possibili incidenti.