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 2020  ottobre 18 Domenica calendario

Sette cinghiali uccisi a fucilate a Roma

Gli spari, l’iniezione letale, mamma cinghiale e sei cuccioli trascinati per i viali di un giardino pubblico e gettati in un camion per rifiuti speciali. Verranno inceneriti. Animalisti e residenti in strada, grida, spintoni e il cordone della polizia che blocca ogni accesso. È finita in bagarre l’ultima pagina che vede protagonisti i cinghiali a Roma, sempre più attratti dai rifiuti che fuoriescono dai cassonetti. Il giorno dopo si pensa alle responsabilità, a chi ha dato l’ordine di uccidere gli ungulati venerdì. Ira della sindaca Virginia Raggi che decide di aprire una commissione d’inchiesta amministrativa e «valutare eventuali profili di responsabilità». Insomma, Raggi vuole sapere con chiarezza chi ha autorizzato l’uccisione degli ungulati e prenderà provvedimenti. 
La famiglia di cinghiali due giorni prima era entrata nel giardino Mario Moderno all’Aurelio, vicino San Pietro: erano stati chiusi i cancelli in attesa di una decisione sul loro destino. Qualche ora prima delle fucilate, si era riunito il tavolo tecnico predisposto dal Protocollo d’Intesa firmato da Comune, Città Metropolitana e Regione per il contenimento degli ungulati. Una prima proposta prevedeva di portare gabbie e trasportare via gli animali. Che fine avrebbero fatto? Il Protocollo prevede che possano finire al macello o in una azienda faunistica venatoria. Nessun sogno di accoglierli in una sorta di ospizio per animali così come ipotizzato più volte dal presidente della Commissione Ambiente del Comune, Daniele Diaco. Durante il vertice al quale partecipa il capo del Dipartimento dell’Ambiente del Comune, Marcello Visca (presente anche durante l’uccisione), Roma Natura fa sapere che tutte le gabbie sono impegnate nei parchi. Si procede quindi all’extrema ratio: sedare e uccidere sul posto gli animali per motivi di sicurezza. Il Comune, da sempre fortemente animalista, quindi, sapeva molte ore prima degli spari quale sarebbe stato il destino dei cinghiali. «Ma sia io che l’assessore all’Ambiente Laura Fiorini abbiamo protestato, la colpa è della Regione» dice Diaco. La Regione intanto ribatte. «La decisione è stata presa all’unanimità durante il tavolo tecnico» chiarisce Enrica Onorati, assessore all’Ambiente della Regione che definisce «surreali» le dichiarazioni degli esponenti del Comune. E aggiunge: «La decisione è stata comunicata da Visca nella nota del 16 ottobre protocollo 74048, in cui, tra l’altro si dà mandato ai vigili di predisporre gli atti amministrativi e all’Ufficio Operativo della Direzione Mercati all’Ingrosso di predisporre il mezzo idoneo al trasporto». Ma c’è una seconda parte nella storia. Mentre la polizia provinciale, entrava nel parco armata, gli animalisti scendevano in strada. Michela Vittoria Brambilla (Forza Italia), presidente di Leidaa (Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente) mette in contatto in una chiamata a tre l’assessore Onorato e Diaco: «Eravamo disponibili a prenderci cura noi degli animali, è stata una strage a sangue freddo». Insomma, gli animali secondo Brambilla si potevano salvare. La Regione si dice disponibile «a dare in comodato d’uso le gabbie dei Parchi del Lazio al Comune per il prelievo degli animali. La telefonata – aggiunge Onorati – si è conclusa con l’impegno di Diaco di avvertire il dirigente del Comune per predisporre il tutto». Diaco era sul posto e avrebbe quindi dovuto fermare l’operazione, perché l’arrivo delle gabbie richiedeva tempo. «Ma io non potevo – ribatte – doveva farlo un funzionario della Regione». Mentre la folla fuori il giardino gridava e chiedeva di fermare i fucili, si procedeva all’uccisione.