Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2020
Quell’idea sbagliata del cervello
Ogni mese mi trovo impegnato nella lettura e discussione di un certo numero di progetti di ricerca in neuroscienze e scienze del comportamento che devono poi essere inviati al Ministero della Salute per seguire le complesse e rigorose procedure che regolano la sperimentazione sugli animali. Tra i campi che debbono essere compilati nella modulistica annessa ce n’è uno che con il passare degli anni mi procura un disagio crescente, laddove si deve dichiarare che non è stato possibile individuare un modello animale «a inferiore sviluppo neurologico». Trattandosi di animali che vivono qui, oggi, sul nostro pianeta, mi chiedo che cosa si intenda precisamente con questa espressione.
Ovviamente l’idea che ci siano animali neurologicamente (e perciò mentalmente) superiori o inferiori è ben radicata nel pensiero comune. Fa il paio con la concezione solo apparentemente più sofisticata che l’evoluzione del cervello consista nel fatto che quando appare una nuova specie vengano aggiunte delle strutture nuove che andrebbero a depositarsi, come gli strati di una cipolla, su quelle vecchie. È celebre a questo riguardo ed è stata molto divulgata la versione che ne ha fornito Paul MacLean, secondo cui il cervello comprenderebbe uno strato antico, rettiliare, costituito principalmente dai gangli della base, deputato al controllo dei comportamenti istintivi che mediano risposte veloci come l’attacco e la fuga; un secondo strato, sviluppatosi nei mammiferi «primitivi», costituito dal sistema limbico, che elaborerebbe reazioni emotive e sentimenti; e infine lo strato più esterno e più recente, sviluppatosi nei mammiferi «più evoluti», costituito dalla neo-corteccia, associato alla pianificazione delle azioni e alla razionalità, che raggiungerebbe il suo pinnacolo di sviluppo nella specie umana. Si tratta di un’ipotesi che ci lusinga assai, perché concorda con la nostra intuizione dell’evoluzione come un processo lineare e progressivo di cui noi rappresenteremmo l’apice (alcuni ritengono, ma non ne discuteremo qui, che sopra gli esseri umani ci sarebbero poi gli Angeli, anch’essi disposti in una ben organizzata gerarchia, quella dei cori angelici, con Serafini, Cherubini, Troni, nella Prima Sfera, e poi Dominazioni, Virtù e Potestà, nella Seconda, Principati e Arcangeli nella Terza, e sopra tutti questi naturalmente il buon Dio).
L’idea del cervello uno e trino è stata diffusa da schiere di divulgatori (anche dal compianto Carl Sagan nel suo, per altri aspetti notevole, I draghi dell’Eden), e viene usato da sedicenti esperti in corsi di formazione psicologica tanto inutili quanto costosi. Peccato che sia completamente sbagliata e non rifletta in alcun modo il consenso attuale tra gli studiosi circa il modo in cui si è evoluto il sistema nervoso.
Non si tratta peraltro di scoperte nuove. Il consenso ha richiesto del tempo (diciamo vent’anni circa) e molte discussioni per formarsi, ma è sorprendente quanto poco queste conoscenze siano penetrate non solo nella cultura di massa, ma anche in quella degli addetti ai lavori.
Proviamo a esaminare che cosa non va nell’idea del cervello a cipolla. La prima cosa che non funziona è l’idea che l’evoluzione sia una progressione lineare di organismi che da semplici diventano complessi. L’evoluzione, non dovremmo stancarci di sottolinearlo, implica cambiamento, non progresso. La concezione secondo cui un animale con un cervello meno complesso si evolverebbe in un’altra specie con un cervello più complesso tramite l’aggiunta di nuove strutture, per modo che, aggiunta dopo aggiunta, si arriverebbe alla specie umana è una caricatura della storia evolutiva.
Tutti gli animali che vivono oggi sulla Terra sono l’esito di una radiazione evolutiva (la diversificazione tra le specie) a partire da antenati comuni che sono vissuti molto tempo fa. Gli animali viventi sono quindi tutti egualmente evoluti, nel semplice senso che tutti hanno avuto lo stesso tempo per evolvere dalla comparsa della vita sulla Terra. Questi animali possono esserci parenti più o meno stretti, naturalmente. Così, per trovare un antenato comune con il pollo devo risalire a circa trecento milioni di anni fa, e per trovare un antenato comune con il ranocchio a quasi cinquecento. Ma questo non significa che il ranocchio sia più primitivo o meno evoluto: il ranocchio in cui mi imbatto nello stagno si è evoluto da altri suoi antenati lungo il corso della storia evolutiva, e il fatto che la comparsa della sua specie sia molto o poco recente non garantisce che l’animale sia molto o poco complesso. Sarà certamente diverso, ma non ha alcun senso dire che sia più o meno progredito o evoluto rispetto ai suoi antenati.
L’evoluzione della cosiddetta neocorteccia, lo strato più esterno della cipolla, può essere considerato come un caso esemplificativo. La parte più esterna (più dorsale sarebbe giusto dire) dell’encefalo o «pallio» è antica nella sua struttura quanto la storia dei vertebrati. Si pensava, ad esempio, che mentre mammiferi e rettili hanno una rappresentazione della vista nel pallio, pesci e anfibi, che hanno un antenato in comune con noi molto più antico non l’avessero. Recentemente, però, si è scoperto («Nature Ecology and Evolution», 2020 Apr; 4: 639-651) che le lamprede, che costituiscono il più antico gruppo esistente di vertebrati, posseggono un’area visiva, con una organizzazione retinotopica (posizioni vicine sulla retina sono rappresentate vicine nel cervello), e un’area somatosensoriale, in cui sono rappresentate la superficie della testa e del tronco dell’animale, nel pallio laterale, l’omologo della corteccia. Ciò significa che l’organizzazione delle rappresentazioni sensomotorie della neo-corteccia dei mammiferi si era già evoluta nell’antenato comune di ciclostomi (lamprede e missine) e gnatostomi (pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi), circa 560 milioni di anni fa. «Neo» corteccia? Ma de che’, direbbero a Roma…
Com’è ovvio l’architettura del pallio si è evoluta in forme diverse nei diversi gruppi tassonomici. Negli uccelli è organizzata in nuclei mentre nei mammiferi è organizzata a lamine: nei primi i neuroni sono disposti come in una pizza, nei secondi come in un sandwich. Sappiamo che le lamine del cervello dei mammiferi contengono colonne verticali di neuroni, e all’interno di queste colonne i neuroni comunicano tra loro sia in senso orizzontale che verticale. Alcuni colleghi dell’università della Ruhr hanno però pubblicato in queste settimane uno studio («Science» 25 Sept. 2020, Vol. 369, 6511) che mostra come, a dispetto dell’organizzazione nucleata, sia riconoscibile un’architettura simil-laminare e colonnare anche nel cervello degli uccelli.
Che le persone che si occupano d’altro abbiano concezioni imprecise sull’evoluzione in generale e sull’evoluzione del cervello in particolare può dispiacere, ma certamente non gliene si può fare una colpa, semmai dovremmo rammaricarci tutti noi, ricercatori e comunicatori della scienza, per non essere riusciti a veicolare un’informazione corretta. Più preoccupante, invece, è il fatto che simili malintesi siano diffusi tra chi professionalmente si dovrebbe occupare del cervello e delle sue funzioni. Lo psicologo Joseph Cesario con i suoi collaboratori ha pubblicato un interessante articolo su «Current Directions in Psychological Science»(il cui titola recita appunto: «Il tuo cervello non è una cipolla», May 8, 2020) in cui vengono menzionati i risultati di uno studio condotto su venti manuali d’introduzione alla psicologia, pubblicati tra il 2009 e il 2017. Di questi, solo quattordici fanno menzione all’evoluzione del cervello, il che sarebbe preoccupante di per sé, ma soprattutto solo due non contengono il tipo di errori menzionato sopra. L’articolo riporta delle vere e proprie chicche, ad esempio in un testo dedicato alla cognizione sociale si legge: «Quando evolvono nuove specie, questo si realizza mediante l’aggiunta di nuove parti del cervello a quelle esistenti… La rana e il pesce, in altre parole, sono ancora dentro di noi». Tremo al pensiero dei travisamenti, anche comici, che in questo modo saranno diffusi dai futuri professionisti della psicologia.