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 2020  ottobre 18 Domenica calendario

QQAN62 Su "La monarchia della paura" di Martha C. Nussbaum (Il Mulino)

QQAN62

Martha Nussbaum è una protagonista affermata del dibattito sulle questioni di giustizia sociale oramai classico in teoria politica. Ma in questo suo The Monarchy of Fear svolta si occupa di sentimenti morali e di emozioni politicamente rilevanti. Non è la prima volta, in verità, che la professoressa dell’Università di Chicago si dedica a un compito del genere (lo aveva già fatto nel suo Upheavals of Thought, The Intelligence of Emotions del 2001), ma questo recente tentativo sembra assumere un valore speciale.
Ciò per diversi motivi. Da un lato, per la semplicità e l’immediatezza dello stile argomentativo dell’autrice, che evidentemente in questo caso guarda a un pubblico che, pur sofisticato, sia più ampio del solito. Dall’altro, perché l’oggetto specifico del libro sono i sentimenti morali negativi, a cominciare da quella paura che appare già nel titolo del volume, all’analisi dei quali si unisce una proposta di emancipazione e riscatto. Ma l’intrapresa assume una rilevanza anche maggiore se si riflette sul fatto che la teoria politica occidentale ha visto prevalere -negli ultimi decenni- l’indagine sui principi che governano le istituzioni.
Rawls e Habermas, che hanno più di altri influenzato questo ambito di ricerca, hanno infatti sempre privilegiato un approccio istituzionalista. E in questo ambito, le ragioni di liberalismo, giustizia sociale, democrazia, comunicazione e discorso, sono tra i temi che hanno dominato il campo della political theory. Difficile però negare che il mondo reale della politica sembrava muoversi nei tempi recenti sulla scorta di un’agenda tutt’affatto diversa. Come è stato più volte detto, in democrazia si vince più muovendo la pancia che stimolando la testa dell’elettore. E, per conseguenza, razzismo, nazionalismo, risentimento contro le élites sono tra i temi ben noti che hanno dominato il campo della politica reale. Non si capirebbero altrimenti i successi di Trump, Brexit e in genere dei cosiddetti populisti.
In buona sostanza, la migliore teoria politica andava da una parte e gli eventi effettivi da un’altra. Questa premessa è necessaria per spiegare perché un libro pur elegante come The Monarchy of Fear di Martha Nussbaum ha un’importanza che in qualche misura eccede il contenuto intrinseco del libro stesso.
Per Nussbaum, l’emozione negativa fondamentale è la paura. La paura è essenzialmente reazionaria e solo partendo dalla paura si possono capire la rabbia, il disgusto e l’invidia, che sono poi i sentimenti che meglio di altri spiegano l’ondata populista e anti-liberale della politica contemporanea. È infatti la paura che è alla base dei diffusi sforzi di “altrizzazione” (othering) con cui escludiamo i diversi invece di includerli (l’autrice ne aveva parlato anche nel recente The Cosmopolitan Tradition: A Noble but Flawed Ideal, di cui avevamo già scritto su questo giornale).
Aveva così ragione Franklin Delano Roosvelt quando diceva che «non dobbiamo avere paura di nulla se non della paura». La paura, ci dice Nussbaum seguendo un grande psicoanalista che fu anche pediatra, Donald Winnicott, dipende dalla perdita di controllo sull’ambiente e procede da un istinto infantile. Consiste nel ripetersi ossessivo vita natural durante di quegli incubi che – originati dal timore di essere abbandonati dai genitori – trovano origine nell’incapacità del neonato di badare a sé stesso. E, in sostanza, ogni paura è paura della morte, testimonianza permanente della nostra consapevolezza di essere effimeri e vulnerabili. Nel ricostruire lo sfondo della paura Nusssbaum è al meglio, capace come è di riprendere e aggiornare con grande competenza il discorso dei classici greci e latini da Aristotele a Lucrezio.
Il problema è che la paura non è solo psicologica. È anche sociale e genera reazioni emotive sciagurate di massa, che poi possono sfociare nel razzismo e nel sessismo. Il narcisismo implicito nella paura diventa la base di sentimenti morali antidemocratici. È dalla paura, infatti, che nasce la rabbia con la conseguente voglia di punire chi la ha generata. Sempre dalla paura si genera il disgusto, che accompagna il rifiuto del diverso come nel caso del nero o dell’ebreo, e la maliziosa invidia che ci invita a desiderare la disgrazia degli altri.
Alla base c’è sempre la sensazione di aver subito danni non giustificati per colpa altrui. Come si potrebbe, comprendendo la genesi di questi sentimenti negativi, cercare di evitarne gli effetti spiacevoli e indesiderati? Al fondo, c’è il bisogno di essere rassicurati. Innanzitutto, cercando di collocare le nostre esistenze in ambienti che aiutano e facilitano risposte migliori, magari tramite l’impiego di oggetti “transizionali” (Winnicott) come la famosa coperta di Linus.
Più in generale, trasformando la rabbia cieca in protesta civile, senza volontà di vendetta e punizione. In ultima analisi, l’ordine democratico dovrebbe contribuire a mettere da parte sentimenti negativi come rabbia, disgusto e invidia, e a concedere più spazio a quelli positivi. Ci sono infatti nella vita valori da perseguire come quelli che offrono l’amore per i nostri cari e il perseguimento degli scopi legati al lavoro. Insomma, sarebbe cosa buona e giusta trasformare la furia in “pratiche di speranza” come queste, evitando così le conseguenze nefaste della paura. La teoria politica normativa serve, a questo punto, a smascherare gli errori impliciti nella rabbia, ricordandoci che il rancore spesso è ingiustificato, che l’ansia di status è troppe volte eccessiva e che infine la vendetta non ha senso.
Tutto condivisibile senza dubbio, ma – diciamo la verità – assai simile a un wishful thinking. Concludendo: un problema serio e rilevante come il formarsi dei sentimenti negativi che motivano il populismo reazionario trova una risposta ottimistica ma ahimé debole e generica.