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 2020  ottobre 18 Domenica calendario

Viaggio nella biblioteca di Van Gogh

«Legge Dickens tutto il giorno e non fa nient’altro, parla solo quando gli si fa una domanda». Così scriveva con malcelata irritazione la madre Anna al figlio Theo. Era l’agosto del 1879. Vincent ha deciso di tornare a Etten per trascorrere qualche giorno con i suoi genitori. Ed è un ritorno mesto, che ha alle spalle una serie di cocenti delusioni e di progetti bruscamente interrotti, l’ultimo dei quali è il mancato rinnovo del suo incarico come predicatore nella zona carbonifera del Borinage.
Vincent ha 26 anni, è senza lavoro e non ha una casa dove abitare, ma soprattutto pare un giovane disilluso, senza prospettive per il futuro. Niente lo convince davvero, niente sembra soddisfarlo. La fase mistico-religiosa si è conclusa nel peggiore dei modi. Ed è facile immaginare lo stato di pena e di preoccupazione della madre e del padre, il reverendo Theodorus, vedendolo tutto il giorno per casa a fare una cosa che consideravano del tutto inutile e oziosa, e cioè buttare via il proprio tempo a leggere romanzi. E poi, che romanzi. Davvero inspiegabile che il maggiore dei loro sei figli, da sempre educato a leggere la Bibbia e i libri di devozione e spiritualità cristiana, avesse così “dirazzato”. «Che genere di idee gli forniscono le sue letture? Ci ha inviato un libro di Victor Hugo, ma prende le parti dei criminali e non chiama il male con il suo vero nome: a cosa somiglierebbe il mondo se chiamassimo bene il male?».
È uno dei periodi più difficili della sua vita, ed è anche quello meno noto. Per un anno intero interrompe la sua corrispondenza con Theo e con chiunque altro. La notizia che il padre avesse pensato di ricoverarlo nell’istituto psichiatrico di Geel, in Belgio, lo fa andare su tutte le furie. «Sono diventato per la famiglia una specie di personaggio impossibile e sospetto, uno che non gode di alcuna fiducia», scriveva al fratello nel giugno del 1880. Così, come gli uccelli cambiano il piumaggio per proteggersi dal freddo, anche per lui era arrivato il tempo di scelte radicali per resistere ai periodi di avversità. E in quei momenti si preferisce stare da soli, non mostrarsi in pubblico, «bisogna eclissarsi».
Si sa che diventerà pittore negli ultimi dieci anni della sua breve esistenza. Ciò che invece non smetterà mai di fare sarà leggere. E Mariella Guzzoni, con grazia ed erudizione, ha il merito di ricostruire questa sua dimensione di artista-lettore come pochi altri sono riusciti a fare.
Vincent non poteva vivere senza libri. «Ho una passione pressoché irresistibile per i libri e sento continuamente il bisogno di istruirmi, così come ho bisogno di mangiare il pane». «Se non studio, se non cerco più, allora sono perduto». «Tutto è cambiato per me e ora sono in cammino e la mia matita è diventata un poco più docile e sembra diventarlo ogni giorno di più», confesserà a Theo nelle settimane in cui matura la decisione di dedicarsi esclusivamente all’arte. E da allora non si fermerà più, prima di spararsi una pallottola in pieno petto.
Sono solo tre i libri conservati al Van Gogh Museum di Amsterdam che furono sicuramente suoi. Due di questi riportano il nome Vincent sulla pagina dell’occhiello: Chérie di Edmond de Goncourt e Histoire d’un paysan di Èmile Erckmann e Alexandre Chatrian; il terzo, Recueil de psaumes à l’usage des églises réformées presenta tracce evidenti della sua inconfondibile scrittura. Ai quali ne va aggiunto ora un quarto, esposto l’ultima volta a Parigi nel 1972, in occasione della mostra Le fonti d’ispirazione di Vincent van Gogh, e poi andato disperso. È L’Amour di Jules Michelet, un autore amatissimo, insieme agli insostituibili Dickens, Balzac, Zola, Maupassant, Shakespeare.
Una biblioteca perduta? Come scrive Guzzoni in questo libro appena uscito anche in inglese e francese, le cose non stanno proprio così. «Anche se Vincent ama i libri, non si può dire che sia un collezionista. Si accontenta di usarli. Per lui non è tanto importante possedere i libri, quanto farli suoi». Li interiorizzava, li «masticava», e poi li condivideva con gli amici, li regalava. «La sua biblioteca l’aveva in testa». Viene in mente, per contrasto, la biblioteca – quella sì perduta, all’indomani della morte – di Leonardo. Del Vinciano resta un solo libro, attualmente alla Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze: il trattato di architettura e di ingegneria di Francesco di Giorgio Martini, sul quale si leggono ancora le sue postille autografe. Ma come per Leonardo è possibile ricostruire gran parte dei libri da lui posseduti grazie alle informazioni, alle tracce che lui stesso ha lasciato nei suoi manoscritti, così anche di Van Gogh si può – attraverso il corpus della sua corrispondenza, 903 lettere, di cui 820 scritte da lui – conoscere quali libri ha amato e quali hanno avuto un ruolo determinante nella sua riflessione sull’arte e sulla vita.
Imparare a leggere per imparare a vivere e imparare a vedere. Questo è l’insegnamento che Vincent ci regala. Letteratura, arte e vita sono per lui inseparabili. Scrittura e pittura, passione per i libri e passione per la natura si completano a vicenda, e sono loro che fanno esistere il mondo. L’una è compenetrata nell’altra, con l’obiettivo allo stesso tempo umile e grande di «sentirci dire la verità». Non è il solo a pensarla così. Altri, a cominciare da alcuni compagni di viaggio come Monet, Pissarro e Gauguin, esprimono la stessa vocazione e gli stessi bisogni. Ma nessuno lo farà come lui, nessuno, a partire dall’esperimento cruciale che metterà in pratica nei villaggi tenebrosi del Borinage, esplorerà gli effetti della luce e del colore come lui.
Nei libri Van Gogh cerca la stessa libertà che cerca in pittura. Dipingere per lui è come scrivere. Mettere sulla tela la linea e i colori giusti è come mettere su carta la parola giusta. «Zola e Balzac, come pittori di una società, di una realtà nel suo insieme, suscitano in chi li ama rare emozioni artistiche, per il fatto che abbracciano tutta l’epoca che dipingono. Quando Delacroix dipinge l’umanità, la vita in generale al posto di un’epoca, appartiene nondimeno alla stessa famiglia di geni universali».
Nelle sue lettere sono centinaia le opere letterarie citate, di oltre duecento autori e in quattro lingue diverse. Molte di loro sono indagate in questo libro, con tanto di riproduzione del frontespizio dell’edizione posseduta da Van Gogh, e messe a confronto con le parti dell’epistolario in cui sono menzionate e discusse. Così come sono raffigurate le venticinque opere dedicate ai libri e alla lettura (cinque lavori su carta, diciotto dipinti, due schizzi sulle lettere). Tra le quali la più affascinante ed enigmatica è sicuramente la Lettrice di romanzi.
Scriveva alla sorella Willemien il 12 novembre 1888: «Ho anche dipinto una lettrice di romanzi. Folti capelli nerissimi, una blusa verde, le maniche color vinaccia, la gonna nera, lo sfondo tutto giallo, gli scaffali della biblioteca con dei libri. Ha in mano un libro giallo». Forse, come ipotizza l’autrice, Vincent si immagina proprio Will, la sorella preferita, l’unica donna con la quale parlava di letteratura. È certo comunque che con quel dipinto egli intende rappresentare la sua idea di lettrice moderna, la donna che non ha mai avuto la fortuna d’incontrare e che nel silenzio di una sala piena di libri se ne sta immobile, come ipnotizzata, magicamente catturata dalle pagine del romanzo che sta leggendo. Ed è un piacere che non avrà mai fine, perché altre sono le storie disposte sugli scaffali che la stanno attendendo.
Ecco, commenta Mariella Guzzoni, «se vogliamo immaginare come leggesse Van Gogh, è a questa immagine che dobbiamo guardare».