Vive tra Roma e New York, che è ormai la sua città. Il periodo è duro, dove trova l’entusiasmo?
«Non bisogna essere passivi, il Covid ci ha insegnato qualcosa. A me ha dato una cosa che non ho mai avuto, il tempo. L’ho dedicato agli affetti ma soprattutto mi sono impegnato per chi ha più bisogno. Con l’associazione "Italians feed America" ho contattato tanti consorzi italiani, ho portato i nostri prodotti e con l’associazione cuochi di New York abbiamo dato da mangiare a 150mila persone».
Ha seguito i social?
«Mi sono messo sui social per vedere che facevano i grandi chef: spadellavano. Possibile che la ristorazione non debba avere un altro punto di vista? Allora con il mio amico Franco Costa abbiamo creato un pool di professionisti, professori, designer italiani tra i più bravi, per rimodellare il mondo della ristorazione nel post Covid. L’Università di Parma ha creato un modo rivoluzionario per la conservazione di cibo. Faccio un appello ai ceo delle aziende e ai politici: ascoltate i problemi».
Lei si è impegnato per i ristoranti: è stato difficile?
«Ci siamo confrontati con Discovery, col virus il mondo della ristorazione sarà rivoluzionato.
Nello stesso locale trovi anche quattro generazioni che lavorano, se chiude è finita. È stato molto difficile girare col Covid, la tv si è data nuove regole ma deve rendersi utile. Per Riaccendiamo i fuochi ho chiesto di andare in Lombardia, in zona rossa. I ristoranti li hanno scelti loro. Abbiamo registrato seguendo un’organizzazione maniacale, senza rischi».
Come si aiuta un’attività in crisi per una pandemia?
«Per ogni locale abbiamo preso decisioni diverse, è un format in cui cambia sempre qualcosa. C’è una grande ricerca creativa e non è stato facile in un concept televisivo: c’è l’aspetto emotivo e la parte di impresa. Per rinascere ci vuole impegno».
È cresciuto nel ristorante di famiglia, non ha mai pensato di fare altro?
«L’Antica Pesa è stato aperto nel 1922. La mia adolescenza è stata faticosa, stavo sempre al ristorante, era la mia casa. Una sera, ero piccolo, sono stato dimenticato lì. Ho dormito al ristorante, che di notte diventa un luogo pauroso, col rumore dei motori del frigo. Da parte di papà sono tutti ristoratori, da parte di mamma sono attori di teatro. Lei non voleva che entrassi in quel mondo, ti assorbe la vita».
Che ha fatto?
«Sono andato a vivere con papà: la mattina lo accompagnavo ai mercati generali. Erano il mio luna park: guardavo le cassette di frutta volare, si parlava un romanesco che si è perduto. La gente va al ristorante, si siede e non sa la fatica che c’è dietro. Lavoro da quando avevo dodici anni e mezzo. Entrare nella comfort zone non mi dà conforto, placo le mie ansie con l’adrenalina del lavoro. A novembre uscirà un libro, Forse non tutti sanno che in America , trenta storie di persone che col loro lifestyle hanno cambiato i punti di vista».
Il suo locale a Williamsburg è il preferito delle star, da De Niro in giù.
«Mai chiamato nessuno: è un posto dove la gente torna perché sta bene e c’è privacy. Non abbiamo mai chiuso, cucinavamo per chi aveva bisogno nel quartiere».
L’amicizia con Madonna?
«Per lei ad agosto affittiamo un locale per rifare le scenografie del suo spettacolo e le preparo il catering. Ogni anno organizzo la cena del suo compleanno, quest’anno purtroppo non mi sono potuto muovere da Roma. Grazie a Facetime Russell Crowe, grande amico e attivista, dall’Australia mi raccontava come il lockdown avesse fatto respirare la terra e gli animali, come la gente si fosse riavvicinata alla natura».
A New York stanno chiudendo negozi e alberghi: che impressione le fa?
«La città è in gravissima difficoltà ma voglio essere fiducioso, ho sentito tanti imprenditori. Bisogna darsi da fare per la rinascita, trovare il coraggio».