ItaliaOggi, 17 ottobre 2020
Orsi & tori
Vincitori e vinti potrebbe essere il titolo di un film sulla Seconda guerra mondiale, ma invece è il titolo della Terza guerra mondiale, quella contro il Covid-19. Non vi è dubbio, infatti, che la pandemia da coronavirus ha colpito il mondo con il più forte shock da dopo la Seconda guerra mondiale. E come allora, anche se la guerra pandemica è ancora ben lontana da essere finita e non ci sono in apparenza Stati che combattono uno contro l’altro, ci sono già vincitori e vinti. Mentre i Paesi chiudevano le frontiere, moltissime fabbriche sono state costrette a chiudere le attività. Solo l’intervento degli Stati e delle banche come loro braccio operativo, solo grazie agli aiuti governativi, la catastrofe economica non è stata ancora più grave di quanto comunque drammatica sia. Settori e categorie intere hanno dovuto non lavorare, con il loro futuro più che incerto.Ma i vincitori e i vinti ci sono già. E l’Ocse, l’organismo mondiale per la cooperazione e lo sviluppo economico, il più accreditato per le previsioni economiche, ha proiettato che gli Stati Uniti nel 2021 recupereranno il prodotto interno lordo che hanno avuto nel 2019. Molti altri Paesi faranno assai peggio, soprattutto in Europa. Ma anche gli Stati Uniti sono perdenti, perché nel 2021 l’economia cinese crescerà, sempre secondo l’Ocse, del 10%.
Quindi, come potrebbe dire un croupier, Usa perde, Cina vince.
E l’Europa? Languirà per vari anni prima di recuperare il livello di produzione pre-Covid. Ma l’Europa non sarà da sola, anche il Giappone subirà la stessa sorte. Insomma, in difficoltà e perdente nella guerra economica è un po’ tutto il mondo occidentale. Al punto che c’è ancora, come era successo all’inizio della pandemia, chi accusa la Cina di aver usato il virus come arma di una guerra senza cannoni. Un rigurgito di queste accuse è proprio di queste ore, quando si è saputo che la Cina ha già un vaccino che ha superato positivamente il secondo livello di sperimentazione, con risultati positivi anche per gli anziani.
C’è anche chi sostiene che ci sia un grande fratello, qualcuno fa il nome perfino di Bill Gates, che aveva previsto questa pandemia e ne sta prevedendo altre.
Tutte trame per un film di fantascienza. Le pandemie sono sempre esistite, con la differenza che nel passato il mondo non era globale, non c’era interscambio di persone da una parte all’altra del globo come adesso e quindi il contagio era meno forte.
Del resto, qual è l’arma che la Cina ha usato per poter arrivare alla situazione attuale di Covid free, testimoniato anche dagli osservatori occidentali a Pechino, come hanno detto alcuni di loro nel convegno di Class editori e di Xinhua news agency di martedì e mercoledì scorso? L’arma della chiusura, l’arma dell’isolamento assoluto dei focolai. Ancora adesso, da qualunque parte del mondo arrivino, cinesi o stranieri possono entrare in Cina sottoponendosi a una quarantena di 14 giorni solo in locali che decidono le autorità sanitarie. All’interno, per cinesi e stranieri che non sono rientrati dall’estero, la circolazione è libera.
Non vi è dubbio che questo rigore è stato ed è possibile per come la Cina è politicamente, culturalmente, materialmente organizzata. Si può chiamarlo regime, ciò non toglie che un controllo organizzato di tutto e di tutti è stato necessario per sconfiggere la fame da quando, nel 1978, il vicepresidente Deng Xiaoping fondò la Nuova Cina, basata sull’ideologia socialista ma sull’uso, nell’economia, degli strumenti capitalistici.
Il risultato è che nei giorni scorsi le borse di Shanghai e Shenzhen hanno toccato il massimo storico. L’indice Csi 300, introdotto nel 2015, è salito del 14% nel corso di quest’anno. La capitalizzazione delle società quotate è pari 10 mila miliardi, superando il massimo raggiunto nel 2015, prima dell’esplosione della bolla cinese. Wall Street ha ancora una capitalizzazione pari a tre volte quella delle due borse cinesi, ma Wall Street raccoglie società da tutto il mondo, comprese alcune cinesi a cominciare da Alibaba.
Vari Paesi, anche europei, contestano alla Cina di essere un Paese ancora chiuso e non liberale nella possibilità di investire in tutti i settori o di acquistare società cinesi da parte di stranieri. Mercoledì 14, il presidente Xi Jinping ha ribadito che il Paese vuole fare affari con tutto il resto del mondo, ma anche promesso che il governo cinese si impegna a migliorare l’habitat imprenditoriale e ad aprirsi alle imprese straniere. Il nuovo piano quinquennale è in elaborazione e sicuramente prevederà un impegno ancora maggiore per lo sviluppo dei consumi interni, non solo come antidoto alle chiusure decise dal presidente americano Donald Trump, ma anche per sancire che il tenore di vita dei cinesi cresce in continuazione. Ma naturalmente la globalizzazione sarà perseguita ancora come fattore importante di crescita. A Pechino, tuttavia, non si illudono che se anche alla Casa Bianca ci sarà il cambio di presidente, difficilmente si tornerà all’apertura degli otto anni di Barack Obama. Infatti, anche se con metodi diversi, i democratici e Joe Biden difficilmente saranno aperti come lo fu Obama. Per il semplice motivo che gli Stati Uniti stanno perdendo la competizione tecnologica, che è fondamentale per la crescita economica. Quindi il senso di orgoglio americano imporrà a Biden, se verrà eletto, di cercare di recuperare terreno.
Ma quella di Biden, per non parlare di Trump, sarà un’impresa difficilissima. Il vantaggio tecnologico della Cina è strutturale. Infatti, il fattore fondamentale per l’evoluzione continua sono i big data, che sono generati principalmente dai device e la Cina con oltre 1,4 miliardi di abitanti ha, per parlare soltanto degli smartphone, un miliardo di cellulari attivi. Basta pensare che anche quei pochi che riescono a chiedere l’elemosina la ricevono da smartphone a smartphone. Basta pensare che la paghetta ai figli viene data dai genitori su smartphone. I big data, fra l’altro, sono fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata.
Non sono tuttavia solo i dati a creare il gap strutturale degli Usa. C’è anche il problema per chiunque sarà presidente di confrontarsi con l’arretratezza del Paese nel 5G. Trump ha bloccato alle frontiere americane la Huawei con motivazioni di sicurezza del Paese e cerca di imporre agli alleati un’analoga scelta. Spera così di recuperare il gap. M il fatto vero è che, a parte Cisco, gli Usa non hanno aziende attrezzate per vincere la competizione sui collegamenti sempre più veloci. Può sembrare paradossale, ma non lo è, che gli Usa per cercare di recuperare terreno devono contare su due aziende europee, Nokia ed Ericsson.
Negli ultimi 24+4 anni (quelli di Trump) la politica di sviluppo tecnologico degli Usa è stata rivolta a favore degli Ott (Over the top) della Silicon Valley senza accorgersi, per la rinuncia ad attivare le leggi antitrust, che il potere dei vari Google, Facebook, Twitter, Amazon è salito alle stelle. È di poche ore fa l’ennesima decisione di Facebook e di Twitter di censurare testi postati dal presidente Trump. Che Trump faccia spesso affermazioni temerarie e dove manca la verità è fuor di dubbio, ma è pur sempre il presidente degli Stati Uniti e quindi non dovrebbe poter essere censurato proprio in rispetto della democrazia, in base alla quale i cittadini hanno diritto a conoscere anche le sciocchezze (o peggio) che dice e scrive il presidente. Invece, sia Facebook che Twitter si sono appellati alla normativa che gli obbliga a eliminare dai loro social le fake news. Al presidente non è rimasto altro che appellarsi all’organo che vigila e regola l’informazione, bene fondamentale della democrazia.
Si potrebbe dire che chi di spada ferisce di spada perisce e Trump per la sua elezione ha usato in maniera spregiudicata i social: basta pensare che ha fatto largo uso dei servizi di Cambridge Analytica, la società che diffondeva, naturalmente a pagamento, i dati acquistati da Facebook che li aveva venduti violando il rispetto della privacy degli utenti.
Basterebbe questo a far capire in che razza di situazione si trova l’America, la sua democrazia e di conseguenza la sua tecnologia. Il Covid naturalmente ha esasperato tutto.
Nel confronto, la situazione in Cina è completamente diversa. Ci sono aziende tecnologiche iperpotenti, ma devono sottostare a regole e controlli rigidi da parte dello Stato. Quindi c’è molta meno democrazia e molta meno autonomia imprenditoriale. Ma per la storia evolutiva della Cina, passata dall’impero alla disgregazione per la degenerazione degli imperatori e quindi alla rivoluzione comunista, a sua volta con le degenerazioni simbolicamente rappresentata dalla Banda dei quattro, per approdare alla Nuova Cina di Deng Xiaoping e ora a un socialismo che usa sempre più gli strumenti del capitalismo, l’ordine garantito è essenziale. Ed è, l’ordine, molto produttivo per la cresciuta economica, contando sul più grande mercato del mondo dopo che è stato risolto il problema drammatico della fame di una popolazione immensa.
La Cina vince proprio per questo. Anche The Economist non ha esitato un attimo ad affermare che la Cina vince e l’America perde.
Ma a prescindere da chi vince e chi perde, il Covid sta cambiando tutto nel mondo e soprattutto nella economia mondiale. Sta cambiando il commercio internazionale; stanno cambiando i mercati del lavoro; stanno cambiando i tassi di interesse e quindi tutto il mondo dei prestiti; sta cambiando il ruolo dei governi; inevitabilmente cambia lo stesso concetto di democrazia. E per il cambiamento della democrazia, già in atto a causa del ruolo dominante dei social e quindi del crescente fenomeno populista, si è appunto aggiunta l’accelerazione Covid.
Paradossalmente gli Usa stessi, la stessa politica privatistica di Trump sono cambiati. Probabilmente anche per ragioni di propaganda elettorale, all’esplosione del Covid è stato fatto partire l’helicopter money, sono stati concessi sussidi alle pmi attraverso il pagamento degli stipendi per alcuni mesi sotto forma di prestito, ma che possono diventare a fondo perduto se le pmi mantengono immutata l’occupazione. Molto, moltissimo, rispetto a quanto ci si poteva aspettare dalla casa del capitalismo assoluto. Ma la debolezza, il problema profondo degli Stati Uniti, è la politica di Trump e del sistema di dominio degli Ott che qualcuno definisce propriamente politica tossica e divisa.
Più in generale, il vero problema del mondo è la perdita di posti di lavoro. Il Covid lascerà le economie meno globalizzate, più digitalizzate e meno uguali ed eque. Con lo smart working chi, impiegato, salverà il posto lavorerà dalla cucina o dalla camera da letto; per gli operai sarà più dura. I veri perdenti sono loro. Si amplierà, simbolicamente, sempre più il divario fra Wall Street e Main Street.
I governi sembrano non aver letto le previsioni fatte prima del Covid da McKinsey e da Economic Forum di Davos. Sia pure con cifre un po’ diverse, le due ricerche prevedevano la perdita nel mondo fra i cinque e i dieci anni di circa 800 milioni di posti di lavoro, come effetto della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale e di quanto ne consegue. I governi, in prima linea quello italiano, nel quale i 5 Stelle insistono per il salario di cittadinanza, sembrano non tenere minimamente conto che se già prima il fenomeno dei posti di lavoro sarebbe diventato grave progressivamente, il Covid gli sta dando un’accelerazione brutale. Ci vorranno anni per tornare a un equilibrio fra lavoro e posti di lavoro. Si prevede che ognuno lavorerà 3-4 ore al giorno. Avrà quindi molto tempo libero per una vita che potrebbe essere migliore. Ma prima di questo ritrovato equilibrio ci saranno lacrime e sangue, come accade quando iniziò la rivoluzione industriale con l’introduzione del telaio meccanico. Scontri fra lavoratori e polizia, sangue e morti. Nacque allora il luddismo che sfociò nella Rivoluzione francese.
I governi sembra proprio che non imparino niente dalla storia.