Pennacchi, è diventato popolare con un gentiluomo in “Petra” e col tremendissimo Pojana: la morale?
«Che la tv è strana, la popolarità è arrivata tutta insieme con personaggi opposti. È stato bellissimo lavorare con Maria Sole Tognazzi, e non vedo l’ora di girare la nuova stagione di Petra. Dopo che avevo fatto il provino mi ha detto: “Ho sempre saputo che Monte eri tu”. Non sono un fan dei gialli, ho letto i libri di Alicia Giménez-Bartlett per la serie e mi è piaciuto molto il rapporto con Petra. Lui è quasi materno, un uomo con i suoi principi, pudico, rispettoso. Ho pensato a mio padre».
Nel Pojana, invece, sensibilità non pervenuta. Quel primo monologo, “Ciao terroni”, sul web, sembrava lo sfogo di un vero razzista.
«Il Pojana è nato da un mio adattamento di Le allegre comari di Windsor ambientato in una cittadina veneta con Frank Ford, armato di fucile. Franco anni dopo sarebbe diventato il Pojana. “Ciao terroni” l’ha scritto Marco Giacosa, era parte di un progetto ben strutturato per “This is racism”, il video era diretto da Francesco Imperato. Diventa subito virale, 200mila views. Non conoscevo i meccanismi del web, i social. Ho capito che eravamo nei guai, in senso buono, quando l’ha condiviso Selvaggia Lucarelli che ha milioni di followers: una parte applaudiva e l’altra insultava».
Ma com’è arrivato a “Propaganda”?
«Makkox e Diego Bianchi mi chiamano per fare il monologo e mostrare che lo recita un attore. Poi mi domandano se voglio fare altri pezzi così. Quel testo era forte, io il mio teatro lo scrivo, ma sono meno aggressivo, anche meno incisivo. Mi chiedono di fargli leggere delle cose, Makkox mi incoraggia. E così ho portato in scena Franco Ford, detto il Pojana. Dice cose tremende, a volte delle verità che la gente pensa ma non osa dire. Fa ridere e riflettere, è contraddittorio, ispira simpatia e ti respinge».
Ha dichiarato che si sentiva «inadeguato», ha una storia familiare importante.
«Mio padre era straordinario; partigiano, finito in campo di concentramento a Ebensee a 17 anni. Io a quell’età dovevo solo decidere se nello spritz volevo l’Aperol o il Campari. Un modello inarrivabile: faticoso per un figlio, ma mi ha dato un’energia potente, capisci cosa conta davvero nella vita. Papà aveva perdonato ma non dimenticato, ha speso la vita spiegando come sia importante non vincolare all’odio la lotta per la giustizia. Anche mamma era partigiana, il padre era stato ucciso dai nazisti. Pure lei diceva di aver perdonato ma ringhiava quando sentiva parlare tedesco».
Quando ha deciso di fare l’attore che le hanno detto?
«All’inizio non è stato facile, temevano per la mia sicurezza economica, erano preoccupati.
Famiglia piccolo borghese, lo vedevano come un lavoro traballante. Non avevano tutti i torti, poi vista la passione si sono convinti».
Ma all’inizio non voleva diventare pilota dell’Alitalia?
«Avevo fatto il corso di pilota ufficiale in Aeronautica, scelta poetica: volare è la cosa più bella. E mi aspettava un concorso in Alitalia, che fu bloccato. Così mi sono iscritto a Lingue ma ho fatto l’errore gravissimo di iscrivermi anche a un corso di teatro. Da bravo teppista non pensavo fosse possibile divertirsi come un pazzo in una cosa organizzata e disciplinata. Ho scoperto l’amore per le storie, si è manifestato a duemila all’ora quando ho visto Paolini e Laura Curino. Ho sentito anch’io l’obbligo di raccontare, è bellissimo».