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 2020  ottobre 15 Giovedì calendario

La Cina censura Gengis Khan

Difficile organizzare una mostra su Gengis Khan e l’impero mongolo senza poter usare le parole Gengis Khan, impero e mongolo. Così il museo di Storia di Nantes ha preferito rinunciare al progetto e rinviarlo al 2024, nella speranza che una così lunga pausa di riflessione sia sufficiente alle autorità di Pechino per accedere a una visione più elastica della cooperazione culturale. In sostanza, finché la Cina non rinuncia alla censura, la mostra non si fa.
L’esposizione avrebbe dovuto cominciare questo sabato, 17 ottobre. Poi, per colpa della crisi sanitaria, era stata riprogrammata alla prima metà del 2021. «Figlio del cielo e delle steppe. Gengis Khan e la nascita dell’impero mongolo»‚ è il titolo dell’evento destinato a essere accolto nel castello dei Duchi di Bretagna, e preparato assieme al museo della Mongolia interna di Hohhot, capoluogo della provincia autonoma cinese.
Come in passato con musei colombiani o greci, il partenariato culturale è andato avanti senza intoppi, il museo di Hohhot ha concesso in prestito alcune opere e offerto collaborazione scientifica. I problemi sono cominciati quest’estate, quando si è arrivati al livello della supervisione politica: i funzionari del governo cinese hanno voluto controllare testi, comunicati, presentazione e catalogo della mostra. E, secondo il museo di Nantes, hanno avanzato pretese inaccettabili. «La nuova sinossi proposta, scritta dall’ufficio del patrimonio di Pechino, applica una sorta di censura al progetto iniziale – dice in una nota il direttore del museo, Bertrand Guillet —. Elementi di riscrittura tendenziosi che puntano a fare sparire del tutto la storia e la cultura mongola a beneficio di un nuova racconto nazionale», nel quale non possono trovare posto le parole Gengis Khan e impero mongolo.
Il museo di Nantes promette di mantenere la propria impostazione e organizzare una nuova esposizione contando sui prestiti delle collezioni europee e americane. «Abbiamo preso la decisione di fermare il progetto iniziale in nome dei valori umani, scientifici e deontologici che continuiamo a difendere», aggiunge il direttore Guillet.
Negli ultimi mesi il governo cinese ha reso ancora più dura la repressione delle minoranze, dagli uiguri ai mongoli, che a settembre hanno organizzato manifestazioni per protestare contro il sempre minore spazio dato, nelle scuole della Mongolia interna, alla lingua locale. Questa attività di controllo è accompagnata da un aumento della censura, della quale ha fatto le spese qualche settimana fa l’economista francese Thomas Piketty, il cui nuovo bestseller non è stato pubblicato in Cina perché lui ha rifiutato di tagliare le parti critiche del capitalismo di Stato cinese.
Nonostante queste performance, la Cina è stata eletta ieri – come Russia e Francia, ma non Arabia saudita – nuovo membro del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. E se l’eurodeputato francese Raphael Glucksmann ha osato ricordare «i milioni di uiguri rinchiusi nei campi di concentramento», l’ambasciata cinese in Francia gli ha risposto «nessuno ha il diritto di interferire nei nostri affari interni, e tutti i tentativi contro la Cina sono destinati al fallimento». Quando si tratta di una mostra a Nantes, invece, Pechino sembra avere un’altra concezione degli affari interni.