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 2020  ottobre 14 Mercoledì calendario

Haftar e il traffico d’oro

C’è traffico nel cielo sopra Istanbul: rotta assai contesa ultimamente dai due leader libici: il premier Fayez al-Sarraj e il suo avversario, il generale Khalifa Haftar. Se i voli da Tripoli del primo non stupiscono – il premier turco, Recep Tayyip Erdogan è alleato e sostenitore del Governo nazionale libico – sorprendono invece le ripetute visite del Dassault Falcon 900 P4RMA del generale della Cirenaica. A bordo dell’aereo noleggiato da un’impresa con sede negli Emirati Arabi e atterrato all’aeroporto Ataturk nel mese di luglio, ci sarebbe stato il figlio di Haftar, Saddam, dedito alla vendita dell’oro libico in cambio di valuta con cui sostenere la guerra di suo padre.
A rivelarlo è Radio France Internationale (Rfi) che – come il Fatto ha potuto verificare – svela anche che nello stesso periodo il Falcon 900 è atterrato pure ad Abu Dabhi e poi all’aeroporto privato emiratino di Al Batine, riservato agli uomini d’affari. Si tratta dello stesso velivolo che nel mese di aprile e poi a giugno è decollato dalla base aerea di Benina, vicino a Bengasi, per raggiungere l’aeroporto Simón Bolívar Maiquetía di Caracas, secondo lo scoop del Wall Street Journal; anche in quel che caso si parlò di scambi commerciali di oro, petrolio e dollari tra il presidente Nicolas Maduro e il ribelle Haftar. Poche settimane dopo il Falcon atterra in Turchia con lo stesso intento, scrive Rfi, di “concludere affari” attraverso cui “finanziare e preservare l’entità politico militare” fondata da Haftar nella Libia orientale. “Attività imprenditoriali”, scrivono i francesi. Se non fosse che Erdogan è tra i peggiori nemici del generale contro il cui esercito (Lna) ha inviato forniture e specialisti militari prendendo le parti del governo di accordo nazionale di Al Sarraj. Eppure, stando a fonti di Bengasi raccolte da Rfi, è proprio al Sultano turco che i figli di Haftar insieme ai suoi emissari sarebbero andati a vendere l’oro libico. Così come l’avrebbero ceduto in cambio di mercenari, armi e dollari anche agli “amici” degli Emirati Arabi Uniti, attraverso le cui banche passano gli accordi bancari dell’Lna. E non sarebbe la prima volta, né la prima missione. Saddam Haftar è già noto alle autorità internazionali per aver commerciato illegalmente oro e petrolio in Turchia. Stando al rapporto delle Nazioni Unite del 2018, da questo traffico avrebbe ricavato 1,5 miliardi di lire turche e “già prima dell’offensiva del padre nel 2019 per prendere Tripoli, aveva incontrato il capo dell’intelligence turca”. L’oro – trafugato dai fratelli Haftar dopo l’attacco alla Banca centrale libica di Bengasi, poi ripresa da Sarraj nel 2017 – sarebbe andato perduto nell’inondazione delle acque reflue, evento all’epoca comune nella città libica. In realtà l’oro sarebbe stato trasferito assieme al denaro sottratto in un luogo noto a pochi. In tutto si tratterebbe di 640 milioni di dinari libici, 160 milioni di euro e 2 milioni di dollari, più 6.000 monete d’argento. Di questi, 20 mila euro sono saltati fuori la settimana scorsa, ammuffiti, in casa di una coppia di Limoges, in Francia. Tornando al traffico su Istanbul, i viaggi degli Haftar in Turchia per piazzare l’oro libico stupiscono più che per ragioni militari, per ragioni diplomatiche. In questi giorni infatti, un altro Falcon 900 viaggia verso l’aeroporto Ataturk, ed è quello del governo libico di Al-Sarraj, la cui Banca centrale ha stipulato con l’omonima entità turca un “memorandum di intesa che definisce i termini di una cooperazione in alcuni settori economici e finanziari”. A spingere per l’accordo sarebbero stati il ministro degli Interni di Sarraj, Fathi Bashagha e Khaled al-Mishri, il capo del Consiglio di Stato libico.
Peccato che Bashagha sia stato allontanato dal premier e poi reintegrato perché accusato di concedere la piazza ai manifestanti anti-governativi per fomentare un colpo di Stato contro di lui e che le sue visite a Istanbul si siano verificate proprio in piena crisi dell’esecutivo. “Sembrerebbe – ha dichiarato l’ex ambasciatore libico negli Emirati Arabi, e leader del Libyan Revival Bloc, Aref al-Nayedh a Arab News – che Bashaga e i capi delle finanze di Misurata stiano lavorando già per accordarsi con i turchi mettendo da parte Sarraj (che ha annunciato le dimissioni entro ottobre, ndr) e l’accordo fa parte del prezzo che deve pagare”.
La Turchia, se così fosse, starebbe rinforzando sul doppio fronte il ruolo svolto nel conflitto e sancito dall’accordo dello scorso novembre con Sarraj a seguito del quale Erdogan ha intensificato la presenza di forniture e specialisti in Libia.