la Repubblica, 13 ottobre 2020
Yoko Ono, Liliana Segre e l’impossibilità del perdono
Non odia, ma non perdona, Liliana Segre: «Mi chiedono sempre se io ho perdonato e io rispondo di no. Non ho mai perdonato, non ci riesco». E non perdona Yoko Ono che a 87 anni per l’undicesima volta ha detto no alla liberazione di Mark David Chapman, l’assassino di John Lennon che domenica scorsa avrebbe compiuto 80 anni. Antico e difficile, il tema del perdono è il cuore del cristianesimo. E infatti, proprio come Renzo, che alla fine dei Promessi Sposi prega per don Rodrigo, nel 2012 la signora Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, nel piccolo cimitero di Torrita Tiberina abbracciò due degli assassini di suo padre dopo avere recitato con loro il Padre Nostro. Non ha invece perdonato ma si è liberato dell’odio Giorgio Bazzega, che aveva due anni quando suo padre, il maresciallo Sergio Bazzega, fu ucciso dal brigatista Walter Alasia.
Bazzega ha raccontato di avere passato una difficile adolescenza pensando di uccidere Renato Curcio «che aveva indottrinato Alasia». Ebbene Bazzega, durante un dibattito pubblico, si avvicinò al fondatore delle Br (che oggi ha 79 anni): «Quando Curcio ha capito chi ero, si è spaventato e io mi sono sentito libero dal mio odio. Gli ho dato una pacca sulle spalle e ho detto: “Stai tranquillo... volevo solo che mi guardavi in faccia"». Sui limiti del perdono c’è un piccolo grande libro che si intitola Il girasole (Garzanti) e andrebbe studiato nelle scuole di tutto il mondo. Racconta la storia di un internato nel campo di concentramento di Leopoli che viene portato da un’infermiera nell’ospedale dei tedeschi dove un giovane Ss con la testa quasi completamente fasciata, gli prende la mano e, da una fessura creata sulla bocca gli confessa di avere partecipato alla strage di più duecento di ebrei rinchiusi dentro un palazzo a tre piani al quale avevano dato fuoco. Quelli che tentavano di scappare gettandosi dalle finestre venivano “finiti” dalle mitragliatrici: «Quell’orribile scena non mi esce di mente e strazia la mia coscienza». Per morire in pace il nazista cerca il perdono dell’ebreo, in quanto ebreo: «Devo dire a lei questa cosa orribile, a lei perché... è ebreo». L’autore del libro è Simon Wiesenthal che, inquieto e confuso, lasciò il nazista senza neppure una parola di pietà. E per tutta la vita si chiese se avrebbe dovuto perdonarlo. Wiesenthal, che andò a trovare la madre del nazista senza rivelarle cosa aveva fatto il suo “bravo ragazzo”, raccoglie le risposte di alcune grandi personalità. Una di loro è Primo Levi che già aveva scritto: «Non ho tendenza a perdonare, né a loro né ai loro imitatori successivi, in Algeria, Vietnam, Unione Sovietica, Cile, Cambogia, Sudafrica». È la stessa posizione di Liliana Segre. La questione investe i rapporti tra la giustizia e il perdono, che solo la vittima può concedere al proprio aguzzino, mai a nome di altre vittime o addirittura di un intero popolo. Anche il lettore viene stimolato: voi lo avreste perdonato?