la Repubblica, 13 ottobre 2020
Termopili e Salamina, la Storia riscritta
Al passo delle Termopili gli Spartiati, guidati da Leonida, morirono tutti e trecento, senza peraltro riuscire ad arrestare l’esercito persiano: eppure questa sconfitta fu celebrata quanto e più di una vittoria. Poco tempo dopo la flotta ateniese, sotto il comando di Temistocle, distrusse quella del Gran Re nello stretto di Salamina, e questo successo segnò praticamente la fine dell’invasione persiana in Grecia. Si era nel 480 a. C., il che significa che oggi, nel 2020, da quei drammatici eventi sono trascorsi 2500 anni.
Come c’era da attendersi la Grecia ha dato grande solennità all’anniversario, costituendo un comitato presieduto da Marianna V. Vardinoyannis, filantropa, “ambasciatrice di buona volontà” dell’Unesco e moglie dell’armatore Vardis Vardinoyannis. Le parole con cui la presidente ha introdotto l’evento, però, suscitano qualche sconcerto. Alle Termopili, ha scritto, si consumò una «battaglia fra la luce e le tenebre, con la vittoria della luce», mentre Salamina ha segnato «la nascita della civiltà occidentale». I presupposti di queste affermazioni sono evidenti. I Persiani, l’oriente, sono visti come il regno delle tenebre, e senza quelle due battaglie combattute dai Greci il buio avrebbe soffocato la luminosa civiltà occidentale.
Niente di nuovo, per carità. Questa visione delle guerre persiane, intese come uno scontro fra barbarie orientale e civiltà occidentale, è alquanto risaputa. Già alla metà dell’ottocento John Stuart Mill poteva affermare che la battaglia di Maratona – quella che aveva vittoriosamente concluso la prima guerra persiana – «per gli inglesi» era stata più importante di quella di Hastings; e per la verità, quando ero studente universitario un accreditato manuale di storia greca concludeva ancora così il capitolo dedicato a Salamina: «Senza quella vittoria… la grande fiaccola della civiltà greca, che appena allora aveva cominciato a illuminare il mondo, non avrebbe più potuto risplendere fra le genti». Come si vede, lo scontro fra Greci e Persiani finiva sempre per essere una questione di luce contro le tenebre. E magari fosse finita allora. Ancora oggi infatti circolano libri, dedicati a Salamina, il cui sottotitolo suona “Lo scontro navale che salvò la civiltà occidentale”.
A dispetto di tanta retorica, però, da tempo gli storici antichi si sono liberati da questi stereotipi. È chiaro che i rapporti fra la Grecia e la Persia non si esaurirono in alcuni scontri “epocali”, ma costituirono piuttosto un fenomeno di lunga durata, in cui i conflitti, le reciproche ingerenze, gli intrighi si accompagnarono sempre a importanti scambi culturali. Come è stato scritto, in un certo senso i Persiani “fanno parte” della storia greca. D’altra parte non è neppure vero che, in occasione di queste guerre, i Greci avrebbero finalmente consolidato la propria “identità ellenica”, come spesso si legge: non dimentichiamo che durante le ostilità più o meno una metà dei Greci stette dalla parte dei Persiani: i Tebani, per esempio, ci misero un bel po’ prima di rifarsi una reputazione. Soprattutto, però, negli anni successivi alla guerra le varie poleis, lungi dal sentirsi affratellate in una comune matrice etnica, continuarono a combattersi ferocemente, fino alla propria rovina. Sarebbe certo esagerato affermare, con un celebre archeologo francese, che «Maratona fu una sconfitta della libertà». È indubbio però che l’egemonia ateniese, conseguente alla vittoria sui Persiani, produsse talmente tanti lutti, morti e fratture all’interno del mondo greco che è difficile dire se sarebbe stato peggio qualora avessero vinto gli altri. Che anzi, parlando di Persiani, raramente ci si preoccupa di vedere le cose dal loro punto di vista.
Di certo il loro impero era talmente grande che la guerra con i Greci dovette essere considerata un evento piuttosto marginale, e la sconfitta non ebbe nulla della “epocalità” che le si attribuì (anzi, le si continua ad attribuire) dall’altra parte. Anche per questo le iscrizioni Achemenidi non ci dicono molto a questo proposito – salvo però una cosa: che i Persiani si ostinarono a ritenere “loro sudditi” i Greci di là dal mare, come li chiamavano. Per quale motivo?
Era avvenuto che nel 507 a. C. un’ambasceria ateniese, inviata da Clistene, si era recata a Sardi per chiedere un’alleanza con i Persiani. Il rappresentante dell’impero si era detto disposto ad accordarla ma aveva chiesto che, in cambio, gli Ateniesi concedessero “terra e acqua” al Gran Re: la richiesta venne accolta. Tornati ad Atene gli ambasciatori furono sconfessati, ma i Persiani continuarono a ritenere valido quel patto. Concedendo “terra e acqua” al Gran Re gli Ateniesi si erano infatti riconosciuti sudditi dell’impero. Solo che quel patto era stato poi sconfessato e, nell’ideologia Achemenide, questo costituiva un atto gravissimo. Il nome dell’antica divinità indo-iranica, Mitra, significa proprio “patto, contratto": per un persiano mentire significava compiere un peccato capitale. Chi lo faceva passava dalla parte della Menzogna, dimostrando di essere inquinato dai poteri del Male e come tale costituiva un pericolo per l’ordine del mondo garantito dal “Saggio Signore": ossia il sovrano. Per questo doveva essere sconfitto. Ciascuna potenza imperialista giustifica a suo modo, e secondo la propria ideologia, una dichiarazione di guerra (George W. Bush non pretese forse di portare peace and democracy in Iraq?); allo stesso modo per gli Achemenidi bastava mostrare che un popolo era “vulnerabile alla Menzogna” per giustificare la propria invasione, ristabilendo la Verità.
Naturalmente ciascuno è libero di interpretare a suo modo l’evento delle guerre persiane – pur se farebbe piacere vedere che il lavoro decennale, per non dire secolare, di tanti storici greci, fosse riconosciuto anche dal comitato per la bimillenaria celebrazione. Di certo, però, piacere non fanno, anzi creano solo frustrazione, le parole con cui il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha accompagnato questo evento (lo ha ricordato lo studioso Panos Christodoulou in un suo prezioso commento). Secondo Mitsotakis infatti l’anno delle Termopili e di Salamina costituì «uno dei momenti più critici e drammatici nella storia dell’umanità. Ai nostri giorni le sfide sono naturalmente differenti. Onde di rifugiati e migranti economici stanno oggi assediando le nazioni europee».
Tutti hanno diritto di avere le proprie opinioni sulle guerre persiane, d’accordo. Però, paragonare la flotta del Gran Re ai poveri migranti di Lesbo e di Moria, non è solo incredibile, è una violazione della verità. Cosa su cui gli Achemenidi, fra parentesi, avrebbero avuto molto da ridire.