Affari&Finanza, 12 ottobre 2020
Il 2020 cambierà per sempre il business del trasporto aereo
I cieli mondiali si preparano – finanziariamente parlando – a vivere l’anno più nero della loro storia. E allacciano le cinture di sicurezza per una crisi destinata a durare a lungo e a cambiare per sempre (anche per i consumatori) la mappa del trasporto aereo globale. Il pedaggio pagato dal settore al Covid è impressionante: le compagnie aeree perderanno quest’anno 84 miliardi di dollari, i passeggeri caleranno del 66% mandando in fumo 345 miliardi di ricavi e i vettori hanno annunciato il taglio di oltre 100 mila posti di lavoro.
I governi di tutto il mondo, anche i più liberisti, hanno aperto il paracadute alle loro aerolinee nazionali puntellandole con 123 miliardi di aiuti pubblici. Ma questo gigantesco piano Marshall ad alta quota rischia purtroppo di non bastare: 18 società – da Virgin Atlantic alla Air Mauritius, dalla South African airways alla Latam – sono state costrette a portare i libri in tribunale per proteggersi dai creditori. La ripartenza lentissima del traffico rischia di bruciare rapidamente il tesoretto del sostegno statale: il 6 ottobre sono decollati “solo” 67.123 aerei passeggeri, il 41% in meno dello scorso anno e 2 mila in meno rispetto a fine settembre. Le rotte intercontinentali – quelle più redditizie – sono in calo del 92%. Tutte le compagnie – salvo quelle che lavorano soprattutto sul cargo – continuano a volare in profondo rosso. E all’orizzonte non si vede alcun segnale di ripresa. Anzi. Il 2021 si chiuderà con un calo del traffico del 47% – vaticina impietosa McKinsey in un recentissimo studio – e le compagnie non recupereranno i livelli pre-Covid fino al 2024, con l’eccezione dell’Asia dove ci sarà una ripresa più rapida».
Chiedere aiuto agli Stati
Come uscire da questa situazione? Il modo più semplice è continuare a battere cassa agli Stati. Le aerolinee Usa, per dire, hanno appena bussato alla Casa Bianca chiedendo un altro pacchetto di aiuti da 25 miliardi (25 li hanno già incassati) mettendo sul tavolo la minaccia di 70mila esuberi. Una richiesta che si è per ora arenata nel braccio di ferro pre-elettorale tra democratici e repubblicani. Un altro modo è tenere ferme le flotte per perdere il meno possibile. Nel pieno del lockdown di primavera due terzi dei jet in servizio erano parcheggiati sulle piste inutilizzate degli aeroporti o nei grandi spazi appositi nel deserto del Nevada. La Swiss viaggia oggi al 15% della sua capacità, British Airways al 22%, Iberia al 25%, Alitalia – grazie al network domestico – è a un più onorevole 41%. L’alternativa è lavorare per far crescere il traffico. E qui – parola della Iata – c’è solo una soluzione: riaprire le frontiere ed eliminare le quarantene, introducendo l’obbligo di tampone per tutti i passeggeri.
Il miraggio dei test
«È l’unico modo per ridare fiducia e sicurezza a chi viaggia e aiutare un’industria che dà lavoro a 65 milioni di persone», ha spiegato il numero uno dell’organizzazione Alexander De Juniac. L’introduzione di test obbligatori validi per tutti non è semplice. Iata ed Easa, l’unione europea per la sicurezza aerea, stanno lavorando a un protocollo condiviso. Ma c’è da mettere d’accordo tutti i governi su quali test anti-Covid adottare, dove farli (gli aeroporti sono pronti a fare la loro parte e già si fa a Malpensa e Fiumicino) e quanto tempo prima dell’imbarco. E in mancanza di un’intesa planetaria per i controlli sanitari è possibile che singoli Stati procedano con intese bilaterali creando “corridoi Covid free” tra di loro. Alitalia, pioniera in questo senso a livello mondiale, sta già sperimentando un’ipotesi di questo genere con i due voli al giorno a prova di coronavirus tra Milano e Roma, dove tutti i passeggeri sono sottoposti al tampone al check in. Il grande freddo sul trasporto aereo mondiale, del resto, non ha ovviamente risparmiato né l’Italia né Alitalia. Il traffico negli scali del nostro Paese – dopo un picco negativo di -99% ad aprile – viaggiava ancora a uno sconfortante -63% a settembre. «E la situazione è tornata a peggiorare con il rischio di seconda ondata del Covid a inizio ottobre», conferma Armando Brunini, amministratore delegato di Sea, la società di gestione degli aeroporti milanesi.
Il decollo della nuova Alitalia
Il buco nei conti di Alitalia, che già non navigava certo in acque tranquille ed era in amministrazione controllata anche prima della pandemia, continua ad allargarsi: nel primo semestre dell’anno la compagnia (tornata di bandiera con la nazionalizzazione in vista) ha perso 423 milioni, 2,37 milioni al giorno. Il governo ha garantito – Ue e Covid permettendo – 3 miliardi di soldi dei contribuenti per varare la newco e l’ennesimo salvataggio e dovrebbe dare il semaforo verde per un anno di cassa integrazione per quasi 7 mila dipendenti. Ma il decollo della nuova società non sarà certo facile viste le prospettive di un mercato nazionale dove i voli intercontinentali sono in flessione del 93% e quelli domestici del 73%. Un quadro nero che ha costretto anche vettori molto più in salute di Alitalia come Ryanair e Easyjet (che ha appena chiuso le basi di Venezia e Napoli) a ridimensionare i voli nel nostro Paese. Un’altra vittima eccellente del Covid nei cieli italiani sono gli aeroporti, diventati – in questi mesi di traffico quasi a zero – costosissime cattedrali nel deserto. Gli scali italiani hanno perso 1,3 miliardi di entrate nei primi otto mesi dell’anno e tengono 10mila persone in cassa integrazione. E non hanno beneficiato ad oggi di piani di aiuti specifici come successo per le aerolinee. Un corto circuito che rischia di pesare sui conti di molte amministrazioni locali azioniste (come il Comune di Milano) che fino all’anno scorso incassavano dividendi ricchissimi dagli scali per finanziare i propri bilanci.
I guai per i consumatori
La disastrosa situazione del trasporto aereo è destinata a diventare (e in parte lo è già stata) un mezzo incubo per i consumatori. L’aperitivo è stato il giallo dei mancati rimborsi dei voli cancellati. Decine di rotte sono state fatte saltare causa coronavirus. Molte compagnie, a volte in modo sospetto, hanno introdotto in piena crisi – e poi cancellato dopo aver venduto un po’ di biglietti – una lunga serie di voli. E in un momento di grave crisi finanziaria, tutte hanno provato a rendere impossibile il recupero dei soldi da parte dei clienti. Diverse società hanno proposto voucher (il governo giallorosso li ha addirittura sdoganati con il Cura-Italia, finendo sotto procedura Ue) altre hanno trasformato la procedura di rimborso in una via crucis tra centralini irraggiungibili e siti complicatissimi da usare. E solo ora – grazie al pressing di Bruxelles – si stanno snellendo le procedure e restituendo – come prevedono i diritti dei consumatori – i soldi.
Un futuro di voli a caro prezzo
Il danno maggiore del Covid sarà però quello a lungo termine sul costo dei voli. Oggi come oggi le tariffe sono crollate. Le aerolinee hanno un disperato bisogno di liquidità, gli aerei viaggiano mezzi vuoti e per chi ha voglia e tempo di viaggiare si trovano offerte di sedili a valori da iper-saldo. «Ma si tratta di un effetto che vale solo per questa prima fase – mette in guardia McKinsey – Poi sarà l’opposto perché il calo della competizione e la necessità di rimborsare i prestiti obbligherà le compagnie a ritoccare all’insù i prezzi». La selezione darwiniana targata Covid, in effetti, è per molti analisti solo in fase-uno. Terminati i soldi pubblici, molte compagnie finiranno in bancarotta (non a caso i titoli del settore sono quelli più penalizzati dalle Borse). E alla fine rimarranno in volo solo pochi vettori highlander, spesso a controllo pubblico che opereranno quasi senza concorrenti facendo il bello e il cattivo tempo sul fronte tariffario. E i cieli, anche per i consumatori saranno sempre più neri.