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 2020  ottobre 12 Lunedì calendario

Il giornalista infiltrato nella polizia di Parigi

«Ci sono due clan, la polizia e loro. Inconciliabili». «Loro» sono quelli che nel suo libro Valentin Gendrot chiama i «bastardi». Giovani arabi, migranti, ragazzi di colore. «Quando eravamo in pattugliamento e passavamo davanti a un gruppo di giovani, il commento dei poliziotti era: Ecco i bastardi». Gendrot è un giornalista di 32 anni ma parla ancora come se fosse un poliziotto.
Per sei mesi ha lavorato come assistente alla sicurezza in un commissariato del diciannovesimo arrondissement, uno dei quartieri più popolari della capitale. «All’inizio sono stato io a infiltrarmi nella polizia» racconta bevendo un caffé nel quartiere multietnico della Goutte d’Or. «Dopo tre o quattro mesi, è stata la polizia a infiltrare me. Ho adottato le parole, i codici e gli atteggiamenti dei miei colleghi».
Il libro di Gendrot, Flic, sbirro, ha provocato un nuovo shock in Francia dove non passa giorno senza che ci sia una polemica sulle forze dell’ordine. Uomini in divisa accusati di violenze e abusi, come nel caso di Adama Traoré o Cédric Chouviat, morti durante dei controlli di polizia. Ma anche agenti che si fanno massacrare o attaccare da bande di giovani com’è successo questa settimana nella regione di Parigi. «La polizia francese ha due problemi – spiega Gendrot – la mancanza di riconoscimento nella popolazione e l’assenza di risposte dallo Stato al suo profondo malessere».
Il suo esordio in divisa è cominciato con l’assistere al pestaggio di un ragazzo in custodia e l’arrivo di una donna venuta per raccontare del marito violento. «Torni se lo farà di nuovo» hanno risposto gli agenti rifiutandosi di prendere la denuncia. Gendrot narra una perquisizione per un banale problema di musica ad alto volume che finisce con un giovane caricato sul furgone, riempito di botte e scaricato qualche chilometro dopo. Quando l’adolescente presenta denuncia, il giornalista fornisce una falsa testimonianza per coprire i suoi colleghi aggressori. Gendrot ammette un «caso di coscienza». La bugia, sostiene, è stata «un danno collaterale» per poter continuare la sua inchiesta. Ora che l’Igpn, l’organo di vigilanza interna della polizia, ha riaperto l’inchiesta sarà di nuovo convocato. «Non vedo l’ora di poter dire la verità. A volte mi domando: cosa penserà quel ragazzo della polizia?».
Il giornalista si ispira ad altri esempi di cronisti in immersione, a cominciare dal tedesco Günther Wallraff. In precedenza si era già infiltrato in un’azienda di carne e in un supermercato. Entrare nella polizia è stato più facile di quello che immaginava, anche in un Paese che vive con la minaccia del terrorismo interno. «Dopo soli tre mesi di addestramento, ero già in strada con una pistola» confida il giornalista. «I miei superiori non hanno mai fatto una ricerca sul mio passato», aggiunge.
Gli sbirri del libro oscillano tra voragini di frustrazione e picchi di adrelina. «Nei quartieri popolari il lavoro principale è tentare di pulire la miseria» sintetizza Gendrot che si è specchiato ne “ I Miserabili “, il film francese candidato all’Oscar su due poliziotti di banlieue.
Anche lui ha vissuto momenti paradossali, come andare a cercare alle quattro del mattino la cuccia del cane di un presunto spacciatore. Gendrot si è fatto un’idea pasoliniana degli uomini in divisa: figli del proletariato, con uno stipendio base di 1.340 euro al mese, spesso costretti a pagarsi da soli guanti e protezioni perché non ci sono, con la missione di far rispettare la legge ad altri giovani poveri ed esclusi come loro. «L’essere odiati fa odiare» aggiunge Gendrot che racconta le disperate chat WhatsApp in cui si scambiano le ultime notizie di suicidi. «E il prefetto cosa ci ha proposto? Organizziamo una serata barbecue per promuovere la solidarietà tra di noi».
Durante l’intervista Gendrot ripete più volte: «I poliziotti violenti e razzisti sono una minoranza». Nei sei mesi passati al commissariato a nord di Parigi – dal marzo all’agosto del 2019 – ha contato che su 36 agenti «solo» cinque hanno fatto ricorso alla violenza. «Il problema è che la maggioranza copre la minoranza. La polizia funziona con la logica del clan, non ci sono traditori».
Il suo viaggio nella polizia, già in corso di traduzione in vari Paesi europei, cambierà qualcosa? Il giornalista francese è pessimista. «Dubito che il governo avrà davvero la forza di eliminare le mele marce». Con i suoi ex colleghi – i nomi sono stati tutti cambiati nel libro – non ha più rapporti. Solo uno si è fatto vivo dopo la pubblicazione dell’inchiesta con un breve sms: «Ehi, ho sentito la notizia. Sono così sorpreso».