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 2020  ottobre 12 Lunedì calendario

Perché Immuni non funziona

Non tutte le Asl chiedono il codice, non tutti gli utenti lo danno. Ridotta all’osso, suona così l’ipotesi più plausibile elaborata dai tecnici del ministero dell’Innovazione per spiegare la grande dispersione dei dati nel tracciamento digitale di Immuni. Con la curva del contagio tornata a salire paurosamente, si aspettavano di vedere almeno il triplo dei positivi rispetto ai 499 sinora registrati dalla app. «Ed era comunque una previsione stimata per difetto, non certo per eccesso», dicono gli esperti del governo. Quindi, che sta succedendo?
Per sbrogliare questa storia, bisogna ripartire dai numeri. Da giugno a oggi Immuni è stata scaricata 8,3 milioni di volte, ha registrato come detto 499 positività tra gli utenti e ha inviato 8.887 notifiche a chi è stato a contatto con i contagiati. Con il tracciamento digitale, però, sono stati scoperti appena 13 nuovi positivi. Non esattamente un risultato confortante, vista la seconda ondata che ha investito l’Europa. «La app di Bending Spoons funziona, il problema va cercato altrove», sostiene il professor Ciro Cattuto, docente di informatica dell’Università di Torino, direttore della Fondazione Isi e membro della task force che, per conto del ministero, ha studiato e selezionato Immuni. «Quegli otto milioni e passa di download non corrispondono al numero delle app effettivamente attive. I download, poi, sono incrementati in modo considerevole solo negli ultimi giorni per via delle notizie sulla diffusione del contagio, ne vedremo gli effetti solo tra due-tre settimane. Infine, non è un campione rappresentativo della popolazione, perché per scaricare Immuni bisogna avere uno smartphone aggiornato e un minimo di dimestichezza: presumiamo che gli utilizzatori siano soprattutto giovani, meno soggetti a sviluppare i sintomi».
I dispositivi telefonici adatti a far girare Immuni in Italia sono circa 44 milioni, quindi 8 milioni di scaricamenti – pur epurati dalla distorsione statistica – sono un numero consistente. «Credo che il sistema – osserva il professor Cattuto – si stia inceppando nella fase di “upload”, ossia quando bisogna caricare il dato». Per come l’aveva prevista la task force, la procedura da seguire nel caso di positività al Covid-test doveva essere questa: la Asl riceve il risultato del tampone, chiama il paziente per avvertirlo e, nello stesso tempo, gli chiede se vuole fornire il codice alfanumerico generato dalla app così da attivare anche il contact tracing digitale. La cronaca di questi giorni dimostra però che non va sempre in questo modo.
Il ministero dell’Innovazione ha raccolto già una decina di segnalazioni di presunte omissioni dei Dipartimenti di prevenzione, e anche il neoconsigliere regionale ligure Ferruccio Sansa ha raccontato su Facebook la brutta esperienza vissuta con la Asl 3 genovese: «Abbiamo chiesto se possiamo comunicare i dati di Immuni visto che abbiamo scaricato la app tutti (genitori e figli). Risposta: Immuni? Non sappiamo cosa bisogna farne».
Abbiamo chiesto un parere al professor Italo Angelillo, che è il presidente della Società italiana di igiene e medicina preventiva. «Può capitare che gli operatori di sanità pubblica, oberati dall’intenso lavoro di questi mesi, possano dimenticarsi di chiedere al paziente se ha Immuni. Non è certo la prima domanda che fanno. E, ricordo a tutti, il settore è sotto organico di 6.000 operatori, chiesti al ministro della Salute Speranza e mai arrivati. È altrettanto vero, però, che la app è stata scaricata da un numero esiguo della popolazione, e spesso accade che siano gli stessi pazienti, forse perché scioccati dalla scoperta della positività o perché non si fidano, a non dirci di averla». Del resto, l’architrave della app di Bending Spoons e del contact tracing digitale si basa su due pilastri: la privacy (nei limiti del possibile) e la volontarietà. Non c’è obbligo di comunicare la positività, né di scaricare la app.