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 2020  ottobre 11 Domenica calendario

Il caso di Fortuna Loffredo è diventato un film

I lunghi capelli con il frisé. Lo sguardo vivace ma smarrito. La piccola Nancy vive con la madre e il padre in un palazzone incastonato in un angolo di mondo dimenticato dal bene. Non sembra riconoscersi nel nome con cui tutti la chiamano. Il silenzio in cui si è chiusa da tempo allarma la madre, che la accompagna agli incontri con una psicologa distratta e scostante. Solo i suoi amici la chiamano Fortuna. È una principessa, le dicono, e sta aspettando che qualcuno la riporti sul suo pianeta. È la realtà? Una fantasia? Chi sono i giganti cattivi che appaiono sul terrazzo e vorrebbero fare loro del male?
Il 19 ottobre Fortuna, primo lungometraggio di Nicolangelo Gelormini, sarà presentano nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma (15-25 ottobre). «Una storia ispirata liberamente a fatti realmente accaduti», si legge nella sinossi. I fatti sono quelli di una sconvolgente vicenda di cronaca: la morte di Fortuna Loffredo, sei anni, scaraventata dall’ultimo piano del palazzo dove viveva nell’isolato 3 del Parco Verde di Caivano (Napoli) dopo ripetuti abusi sessuali. Il film, patrocinato da Save the Children, trasla la cronaca in una fiaba tragica divisa in due atti speculari che mettono a confronto l’immaginazione in cui la bambina si rifugia (nella prima parte) e una realtà indicibile e quindi irrappresentabile (nella seconda). Tra i protagonisti del film Valeria Golino. «La Lettura» l’ha fatta incontrare (virtualmente) con la poetessa Antonella Anedda, che nei suoi versi racconta il dolore e la perdita. Si sono confrontate sui temi del film.

VALERIA GOLINO — Fortuna nasce da fatti terribili che solo raccontarli a voce è pericolosissimo, perché retorica e pietismo sono in agguato. Nicolangelo Gelormini è riuscito a evitarli realizzando un film sospeso, dove i fatti sono restituiti attraverso la percezione sensoriale ed emotiva della bambina. Raccontarli in senso realistico sarebbe stato impossibile oppure osceno, pornografico. Nicolangelo è riuscito a trasformare questa oscenità in un racconto poetico. L’orrore vissuto da Fortuna viene restituito con una doppia temporalità capace di rendere il pericolo e la nostalgia per qualcosa di rassicurante. Per questo ho deciso di partecipare al film: il modo in cui il regista, alla prima esperienza, ha affrontato questa storia mi è sembrato talmente originale e allo stesso tempo un salto nel vuoto. E poi l’estetica gioca un ruolo fondamentale. Nicolangelo è stato coraggioso. Ma a volte questo non basta. Puoi essere coraggioso eppure schiantarti. Lui invece è riuscito a descrivere l’orrore traslandolo. E anche noi attori, soprattutto noi adulti con la nostra maggiore consapevolezza, abbiamo seguito come funamboli questo pericolosissimo tragitto. Ne è valsa la pena. Sono contenta di fare parte di questo film.
Nelle due parti in cui si divide il film, lei condivide e si scambia con Pina Turco il ruolo della madre e della psicologa. Nel primo atto, lei è la madre di Nancy/Fortuna, una madre amorevole, che però non riesce a salvare la figlia dall’orrore; mentre Pina Turco è la psicologa distratta che ne segue il caso. Nel secondo atto, quando emerge la realtà in tutto il suo orrore, tutto si capovolge e i vostri ruoli si invertono: lei è la psicologa, attenta e comprensiva, mentre Pina Turco diventa la madre, distante, che non comprende il dolore della figlia.
VALERIA GOLINO — In questo doppio personaggio non c’è antitesi; si tratta della stessa persona traslata in due ruoli diversi: sia come madre che come psicologa porta lo stesso sentimento. Come attrice ho dovuto fare la stessa cosa due volte. Nella prima parte il mio personaggio rappresenta tutto quello che la bambina vorrebbe fosse la sua realtà: una madre che la capisce, che si preoccupa, la madre soffice e soave che tutti vorremmo; ma poi, quando il reale emerge, si rivela un’estranea. È stato molto interessante. Non posso dire di averlo fatto capendo sempre ciò che stavo facendo, ma un attore può permetterselo.
ANTONELLA ANEDDA — Mi colpisce la parola «pericolosissimo». Era davvero pericolosissimo affrontare un tema del genere, appunto indicibile: un fatto di cronaca talmente orribile da sembrare irreale. Un’altra cosa che colpisce è la necessità di questi bambini di sistemare la realtà, per provare in qualche modo a gestire l’insostenibile. I bambini sono dei grandi sublimatori. Cercano, anche attraverso l’immaginazione, di sistemare, dare un senso a quello che succede.
VALERIA GOLINO — Questo è l’estremo grado di una realtà da riparare. Ma penso che in qualche modo i bambini lo debbano fare in continuazione, anche in realtà certamente meno tragiche. Io stessa da piccola l’ho fatto spesso. Non voglio parlare di me, ma ognuno conosce soprattutto la propria di infanzia, anche se il ricordo, con il passare del tempo, diventa sempre più irreale, sbiadisce. Questa cosa di sistemare la realtà i bambini la fanno molte volte, non solo per sé stessi ma anche per rassicurare gli adulti, per non dare loro l’impressione di soffrire dei loro gesti, per non colpevolizzarli. Questo perché i bambini vivono nel presente: nell’infanzia non sei tu a far capitare le cose, accadono.
ANTONELLA ANEDDA — I bambini proteggono gli adulti più di quanto gli adulti proteggano loro.

Il 24 giugno 2014 Fortuna Loffredo, 6 anni, precipita dal terrazzo all’ottavo piano di un edificio del Parco Verde di Caivano. L’autopsia rivela «abusi sessuali cronici». Secondo quanto emerso dalle indagini, la piccola voleva sottrarsi a un tentativo di violenza da parte di un vicino di casa, Raimondo Caputo, detto Titò, che l’ha gettata nel vuoto. Per i fatti Caputo è stato condannato in via definitiva all’ergastolo e sta scontando anche una condanna a 14 anni di reclusione per avere abusato sessualmente della piccola e delle figlie dell’ex compagna Marianna Fabozzi. La donna è stata condannata a 10 anni per avere coperto gli abusi. Un anno prima della morte di Fortuna, il 28 aprile 2013, un altro bambino, Antonio Giglio, 3 anni, era precipitato dal settimo piano dello stesso palazzo. Era il figlio di Marianna Fabozzi. Per lei il gip di Napoli ha chiesto l’imputazione coatta per omicidio. Le indagini sulla morte di Fortuna hanno fatto emergere anche altri casi di violenza sessuale ai danni di minori in quello stesso rione.
VALERIA GOLINO — Nel film e nella realtà a cui si ispira gli adulti oltraggiano l’infanzia. Questa è senza dubbio la cosa che si avvicina di più al male assoluto.
ANTONELLA ANEDDA — Oltraggio e oscenità. Sono due termini molto veri. Raccontarli in un film è rischioso. Dalle immagini che ho potuto vedere ho colto uno sguardo che non si allontana. Lo sguardo di compassione che tu, Valeria, nel ruolo di psicologa, hai nei confronti di Fortuna. Ti metti alla sua altezza per restituirle una scheggia di speranza.

I bambini vengono rimessi al centro.
ANTONELLA ANEDDA — Tendiamo a guardarli dall’alto verso il basso.
VALERIA GOLINO — Il bambino è portato a vedere il genitore come un mito che in alcuni casi può essere un mito furioso, in altri accogliente. Anche se credo che l’infanzia sia molto cambiata, che siano cambiate le famiglie, i bambini sono messi molto più al centro di prima. Parlo della «normalità», non di casi estremi come quelli narrati nel film...
ANTONELLA ANEDDA — ...Le vicende di quel terribile fatto di cronaca. Nella riscrittura filmica sono inseriti dettagli agghiaccianti: come l’insistente voce che arriva da un televisore che ripete, mentre appaiono immagini di animali: «Questo è un lupo», «Questo è un cane».
VALERIA GOLINO — «Questo è un maiale». Non sembra esserci niente che non va, ma poi sentiamo queste voci.
ANTONELLA ANEDDA — Come negli incubi.
VALERIA GOLINO — Elementi che creano inquietudini, ci cacciano... c’è una parola molto bella in inglese, haunting, per indicare qualcosa che ti perseguita. Ora mi allontano un attimo dal film. Con la mia infanzia ho sempre avuto un rapporto di cortesia, non vado a rivangare, a ricercare, a ricordare. Invece con i bambini ho sempre avuto un rapporto diretto, facile; avviene anche nel film, dove mi metto alla loro altezza. Infantilizzarmi è sempre stato il mio modo di entrare in contatto con loro. Però più passano gli anni e più faccio fatica a trovare un punto di contatto. I bambini di oggi appartengono a tutta un’altra generazione, completamente diversa, un altro «umano»: con i bambini degli anni Ottanta e Novanta condividevo le stesse storie, quelle che raccontavano anche i miei nonni. Guardo ai bambini e ai ragazzi di oggi con una certa ammirazione perché hanno una maggiore consapevolezza.
Questo cambiamento è specchio di un cambiamento degli adulti?
VALERIA GOLINO — Chissà... sarà il momento storico, il fatto che c’è un maggiore accesso alle informazioni. Non dico che sia necessariamente una cosa brutta. I bambini di oggi non guardano più agli adulti come a un mito, positivo o negativo: sono guidati dalla convinzione, per dirlo con le parole di Greta Thunberg, che «ci avete rubato il futuro». Sbaglio?
ANTONELLA ANEDDA — È difficile generalizzare. Di sicuro sono bombardati dalle notizie, dall’ingestibilità delle informazioni che arrivano. I bambini di oggi sono cambiati? Ho una figlia di 27 anni, non ho nipotini e quindi non saprei dire. Ma se guardiamo ai ragazzi, un po’ di speranza ce la portano. Penso per esempio ai giovani che si sono messi a pulire le macerie dopo l’esplosione a Beirut.
VALERIA GOLINO — Sono d’accordo... questa generazione mi sembra più consapevole, più coscienziosa.
ANTONELLA ANEDDA — Se penso ai bambini coinvolti nella tragica vicenda di Parco Verde... Sono magari bambini che hanno il cellulare, come tutti i loro coetanei, ma non hanno adulti di riferimento... sono costretti a diventare adulti prima del tempo.
VALERIA GOLINO — Si trovano ad affrontare situazioni orribili. Tutto quello che può succedere – non voglio nominarlo – che continua a succedere...
ANTONELLA ANEDDA — Questo li pone in una situazione di insostenibilità e di necessità di sistemare la realtà, di ripararla. Sono andata a rileggere la cronaca di quei giorni. Mi ha colpito il fatto che venisse sottolineato come la bambina sia stata buttata dal terrazzo perché si era ribellata, rifiutata... si era rifiutata ed era stata buttata come un rifiuto. Questa è l’oscenità.

Tra l’omertà degli adulti (indagati per falsa testimonianza), i carabinieri sono riusciti a ricostruire la vicenda grazie alle confidenze delle bambine. Hanno raccontato agli psicologi che le seguivano e ai magistrati delle violenze subite. Una di loro ha riferito di avere visto quello che stava succedendo sul terrazzo pochi attimi prima della morte di Fortuna.
ANTONELLA ANEDDA — Bisogna dare ai bambini gli strumenti per esprimersi. Grazie al sostegno degli psicologi forse li hanno trovati... il disegno, la possibilità di ascoltare, un’affettività positiva che solitamente viene loro negata... come la psicologa del film che si accovaccia e si pone all’altezza della bambina, è un segno di protezione. Poco fa, Valeria, parlavi di cambiamento; tra gli strumenti evolutivi Darwin mette la solidarietà. Questo gesto di protezione è necessario.
VALERIA GOLINO — Stavo pensavo ad alcune cose. Quando si parla di infanzia si tende a semplificarne la complessità. E poi questo: i bambini sono l’incarnazione della bellezza, che cosa porta a oltraggiare questa bellezza?
ANTONELLA ANEDDA — Rispetto alla prima questione: tendiamo a non vedere la complessità dell’infanzia, a idealizzarla. Come facciamo con la maternità: la mamma deve essere per forza felice, accudente, ma invece è tutto più complesso. La depressione post partum è una realtà.
VALERIA GOLINO — Oggi non si può più parlare di niente: non si possono usare parole, fare connessioni di pensiero... Un tempo affrontavamo questi temi in modo più spregiudicato, con più coraggio. Adesso è tutto tornato in una specie di incasellamento da cui non si può sfuggire perché se no si diventa pericolosi.
ANTONELLA ANEDDA — Ragioniamo per luoghi comuni che semplificano. Parlavo della maternità perché le donne, quando la affrontano, sono lasciate sole, anche se viene sottolineato il trionfalismo dell’essere madri.
VALERIA GOLINO — O del non esserlo. Io non sono madre e non posso neanche dire con orgoglio che non ho voluto figli, perché invece mi sarebbe piaciuto... però si crea tutta un’atmosfera particolare intorno a una donna che non ha figli.
ANTONELLA ANEDDA — È assurdo, c’è una colpevolizzazione da parte della società.
Temi difficili da esprimere a parole, e fatti indicibili per la loro atrocità: cinema, arte, poesia possono offrire gli strumenti che permettano di rappresentare questi temi e quindi di affrontarli?
VALERIA GOLINO — La poesia più di tutto. No?
ANTONELLA ANEDDA — Prima dicevi che se il film avesse provato a raccontare la cronaca sarebbe risultato osceno. Non credo che la poesia e la parola salvino o confortino, però in modo obliquo possono essere un elemento che spalanca qualcosa in chi legge.
VALERIA GOLINO — La parola può essere fulminante.
ANTONELLA ANEDDA — La poesia non sopporta i luoghi comuni, l’enfasi, la retorica. Come il cinema, la poesia è fatta di sequenze, di architettura, di sguardi, di equilibri.
VALERIA GOLINO — Per affrontare questi argomenti l’arte deve avere argini. Quando non si possono usare alcune parole, quando un pensiero che ha una traccia più selvaggia appare politicamente scorretto, contro qualcuno, è come se si volesse mettere una museruola all’arte. Gli argini vanno messi politicamente rispetto ai diritti, rispetto a tutto quello che ci riguarda come cittadini ed esseri umani, non all’arte. Mi chiedo anche: l’arte deve essere sempre nel giusto? Deve essere nel giusto per essere bella? Non ho una risposta, è una domanda che mi pongo.
ANTONELLA ANEDDA — È un grosso quesito. Certo l’arte non può essere facilmente sentimentale.
VALERIA GOLINO — Quando è così si colloca semplicemente nel regno del brutto.
ANTONELLA ANEDDA — Il cinema, penso a tanti film amati, non si fa arginare. Deve superare qualsiasi museruola, norma. Nella fattispecie credo sia quello che avviene con Gelormini, solo in questo modo si può riuscire a rappresentare l’irrapresentabile.
VALERIA GOLINO — Fortuna è un film ipnotico. Nicolangelo e il direttore della fotografia Agostino Vertucci sono stati molto bravi. Ti affidi, non puoi fare altro, e piano piano, in modo subliminale, ti viene dato un cenno di questo, un cenno di quello, e alla fine il film ti riempie di qualcosa... di «obliquo», come dicevi prima. Una parola importantissima.
ANTONELLA ANEDDA — Un verso di Emily Dickinson dice: «Di’ tutta la verità ma dilla obliqua». Slant, in inglese.
VALERIA GOLINO — Dicevi che il cinema è architettura. È vero. L’architettura partecipa direttamente alla narrazione. Nella prima e nella seconda parte del film ritornano gli stessi luoghi, ma cambiano completamente. L’androne del palazzo, il corridoio, le porte. Mentre all’inizio tutto è più decoroso, decente; nella seconda parte tutto è più vecchio, più sporco, appiccicaticcio. Emerge lo squallore. Non che prima non ci fosse, ma era celato da un’apparente decenza.

Qualche settimana fa si è tornati a parlare del Parco Verde di Caivano, quartiere nato per ospitare gli sfollati del terremoto del 1980 e diventato un agglomerato permanente dominato dalla malavita. Uno di quei luoghi che sembrano calamita per il male. Qui viveva Maria Paola Gaglione, morta nella notte tra l’11 e il 12 settembre. Il fratello è accusato di omicidio preterintenzionale per avere speronato e buttato fuori strada lo scooter su cui la ragazza viaggiava con il fidanzato Ciro. L’avrebbe inseguita perché non sopportava che avesse una relazione stabile con un ragazzo trans.
ANTONELLA ANEDDA — Ci sono troppi luoghi come questo, servono interventi. Valeria parlava di risposte politiche. Bisogna investire in educazione.
In questo 2020, un altro film ha messo al centro l’infanzia tradita dagli adulti: «Favolacce» dei gemelli D’Innocenzo. Una favola nerissima ambientata nelle villette della periferia romana. Dove i genitori sono freddi e distanti. Distratti nelle loro frustrazioni e nel loro narcisismo, perdono completamente di vista i bambini che sono costretti a crescere prima del tempo e trovano nella morte una tragica via di fuga.
VALERIA GOLINO — Antonella, se non l’hai visto, guardalo. Perché è un altro film molto interessante, con attori... un Elio Germano straordinario, e una regia eccezionale. Anche qui ci sono scene che mi hanno dato la caccia per giorni.