Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2020
QQAN10 Su "Salvare Venezia" di Barbieri e Giavazzi (Rizzoli)
QQAN10
«Il 10 luglio alle 12,25 Venezia fu tagliata fuori dall’Adriatico che aveva dominato per secoli. Davanti al premier Conte e a uno stuolo di ministri le 78 chiuse mobili del Mose si sono sollevate bloccando la Laguna. (…) Bizzarra cerimonia: il commissario Elisabetta Spitz sottolinea “la storia travagliata e controversa” del progetto, il sindaco Brugnaro dice che “non è un esempio da copiare”, Conte dichiara “speriamo che funzioni”» («Economist», 12 luglio).
Pochi giorni prima (7 luglio) l’Unesco spediva all’Italia una severa diagnosi (mancanza di ogni strategia per la Laguna), minacciando di mettere Venezia tra i siti “in pericolo”. Intanto il governo rilancia col nome di “Autorità per la Laguna” il Magistrato alle Acque, creato nel 1505 e abolito da Renzi nel 2014 dopo episodi di corruzione (come chiudere l’ospedale se un medico è disonesto). Il recente, positivo esperimento del Mose apre un filo di speranza, ma ci vorrà ben altro per dormire sonni tranquilli.
La situazione è drammatica oltre ogni immaginazione, e l’indagine competente e implacabile di Barbieri e Giavazzi mette il dito sulla piaga con dati inoppugnabili. Pubblicato nel 2014 con altro titolo (Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia), il suo aggiornamento è opportuno alla luce di tre fatti principali. Primo, la prosecuzione delle indagini sulla corruzione di imprese e istituzioni (in fondo al libro c’è l’elenco dei protagonisti di questa «palude di malaffare che per decenni ha prosperato senza alcun rispetto per la storia e per il denaro pubblico»).
Seconda ragione, l’acqua granda del 12 novembre 2019, inferiore solo all’alluvione del 4 novembre 1966, che rende ancor più scandaloso il protrarsi dei lavori del Mose (secondo Craxi nel 1986, dovevano finire entro il 1995, oggi gli ottimisti puntano su fine 2021). Infine, le misure anti-virus hanno avuto l’effetto imprevisto di ridarci una città pulita, senza legioni di turisti frettolosi, senza le enormi navi che ne inquinano bellezza e salute. Un’aria diversa, i pesci nel Canal Grande, le acque limpide, insomma la vera Venezia che mostra di esserci ancora: dipende da noi farla risorgere dal suo letto di morte.
L’intricata cronistoria del Mose, da progetto salvifico a miniera di tangenti, largizioni, corruzione d’ogni fatta, è ripercorsa nel libro e messa a doloroso contrasto col buon governo dell’antica Repubblica, che protesse la Laguna con monumentali deviazioni dei fiumi che vi sfociavano (Brenta, Sile e Piave). Opere portate a termine in breve tempo con effetti duraturi, mentre il Mose non finisce mai, e nessuno sa se funzionerà (Conte dixit). La minuziosa analisi dei fatti e delle cifre fa accapponare la pelle: il costo complessivo, calcolato in 2,7 miliardi di euro nel 1997, ha raggiunto oggi i 6,4 miliardi. Il rapporto costi-benefici, nel 1997 doveva essere in attivo di 1,8 miliardi, oggi è in passivo di 1,6 miliardi. Almeno 2 miliardi dei costi aggiuntivi sono dovuti alla decisione (pilotata da De Michelis) di affidare i lavori in regime di monopolio al Consorzio Venezia Nuova.
Il Mose, scrivono gli autori, è stato «voluto più dalle imprese cui è stato concesso di costruirlo in condizioni di monopolio e dai politici e funzionari pubblici che ne traggono grande e illecito beneficio, che dai cittadini veneziani per la cui protezione è stato progettato e costruito. Perché questo meccanismo regga sono state violate norme del codice penale (...), ma soprattutto sono state corrotte le leggi, formalmente per accelerare la realizzazione delle opere, in realta? per arricchire imprese e politica. Decine di ricorsi, in Italia e in Europa, sono stati tutti respinti grazie a regole costruite ad arte da un sistema di potere trasversale. Il monopolio che avrebbe dovuto accelerare i lavori si è rivelato la ragione per cui essi non sono ancora ultimati».
In una pagina tagliente ed efficace viene argomentata la distinzione fra due tipi di corruzione, l’infrazione delle regole e la corruzione delle regole stesse, quando esse vengano «scritte e approvate per il tornaconto dei privati contro l’interesse dello Stato». Nel caso del Mose si è registrato il sommarsi di ambo le forme di corruzione, poi venuta a galla nelle indagini solo perché «l’ingordigia ha aggiunto fatture false attraverso società ombra onde accumulare i fondi neri necessari per pagare politici e funzionari».
Di Venezia tutti ammirano la bellezza, ma molti dimenticano che la Laguna fa tutt’uno con la città, in un ecosistema unico al mondo, in cui la salute della città e quella della Laguna si rispecchiano l’una nell’altra. Città e Laguna sono malate: la città si svuota di abitanti (da 170mila a 50mila negli ultimi 50 anni), e intanto i cambiamenti climatici accrescono i problemi della Laguna, moltiplicano le invasioni dell’acqua alta mentre la città sprofonda per la subsidenza e il prosciugamento delle falde.
Secondo il rapporto 2019 dell’autorevole Intergovernmental Panel on Climate Change, Venezia è la città più a rischio d’Europa per un innalzamento del livello del mare che entro il 2100 potrebbe raggiungere i 30 centimetri. Contro questa prospettiva non c’è Mose che basti, ma l’Italia non ha ancora un piano per farvi fronte. Per curare il morbo che distrugge Venezia il ripopolamento della città, specialmente di giovani con lavoro creativo, si deve affiancare al ripristino della morfologia della Laguna coi suoi equilibri ecologici.
Oggi, scrivono gli autori, la monocultura del turismo è «la lebbra che ha espulso dalla città d’acqua i suoi abitanti». Ma di una politica della casa, dei collegi universitari, dell’attrazione di attività creative, dall’artigianato alle nuove tecnologie, non c’è traccia nelle politiche locali o nazionali (una lodevole eccezione è stata la Biennale di Paolo Baratta).
Nella prima versione il libro aveva anche parti su Grandi opere e corruzione del territorio, con esempi non veneziani. Concentrarsi oggi su Venezia risponde all’accresciuta attenzione pubblica per la città lagunare (altro indizio, il mio Se Venezia muore [Einaudi] è uscito nelle principali lingue europee, e ora anche in cinese). Ma la storia del Mose è un apologo assai istruttivo anche oltre Venezia. Un problema molto serio genera enormi investimenti, ma con i soldi arriva la corruzione, e l’acqua alta è pretesto di illeciti guadagni.
Troppo facile citare altri esempi: una situazione di forte rischio genera finanziamenti, i finanziamenti attirano corruzione, che prospera sotto la foglia di fico del rischio imminente. Che cosa accadrà nell’Italia post-Covid, con i fondi europei in arrivo? Saranno preda dell’ingordigia dei disonesti, o verranno amministrati in nome del pubblico bene? Leggere questo libro serve anche a meditare su quel che ci aspetta non solo a Venezia ma in tutto il Paese. Che cosa accadrà dei 1000 miliardi stanziati dall’Europa per il Green Deal? Quanta parte andrà spesa in Italia, e quanta a Venezia?